VENEZIA 70 – Incontro con Gianfranco Rosi ("Sacro G.R.A.")

sacro gra Gianfranco Rosi

Circondato da enormi aspettative sin dall'annuncio del direttore Barbera, sbarca finalmente nel concorso veneziano Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Progetto-monstre del regista, il film è stato accolto da grandi applausi alle proiezioni stampa della mattina e arriverà nelle sale italiane il prossimo 26 settembre grazie a Officine Ubu. Sacro GRA è dedicato alla memoria di Renato Nicolini, padre spirituale del progetto.

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Sacro GraCircondato da enormi aspettative sin dall'annuncio del direttore Barbera, sbarca finalmente nel concorso veneziano Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Progetto-monstre del regista, il film è stato accolto da grandi applausi alle proiezioni stampa della mattina e arriverà nelle sale italiane il prossimo 26 settembre grazie a Officine Ubu. Sacro GRA è dedicato alla memoria di Renato Nicolini, padre spirituale del progetto.

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Come si è approcciato a questo progetto non suo?

Nicolini parlava del GRA come di una macchina celibe che ha la sua ragione d'essere nel nascondere le contraddizioni della città. Il raccordo anulare rappresenta il mito perduto del boom degli anni sessanta, un luogo agorafobico dove ci si perde. Girando, nel senso fisico del termine, e incontrando storie mi sono innamorato.

Cosa emerge dai suoi personaggi?

Da loro emerge un'enorme poetica. La poesia, sia chiaro, non appartiene al mio sguardo, ma al modo con il quale loro rappresentatn se stessi. Si sono continuamente messi in gioco, dimenticandosi che noi li stessimo riprendendo. Come diceva Eschilo sono attori che recitano senza sapere di recitare.

Cosa pensa di questo boom del documentario? C'è una distinzione tra realtà e fantasia?

Io lavoro da venticinque anni e ho avuto la fortuna di partecipare a tanti festival. Devo prima di tutto ringraziare il coraggio di Barbera per averci selezionato in concorso.Per rispondere alla domanda io personalmente non ho mai considerato che ci fosse una divisione radicale tra i generi. Io giro documentari non per una scelta ideologica ma perchè credo che ogni storia abbia il suo modo per essere raccontata. La vera distinzione, semmai, è tra vero e falso. Distinzione che è presente in ogni forma di arte.

Il titolo è solo un gioco di parole o ha trovato veramente qualcosa di sacro nel GRA?

Io ho ricevuto il progetto con questo titolo. Certo, lo abbiamo considerato un working-title, visto che io ho sempre trovato il titolo a film concluso. Durante la lavorazione lo abbiamo anche messo in crisi, ma Sacro GRA, alla fine, è sempre sembrato il nome più adatto alle storie che il film raccontava. Sacro, alla fine, è il mistero di questo luogo e dei personaggi che ci vivono.

Il documentarista sente la responsabilità di usare immagini autentiche?

La responsabilità esiste sempre quando il proprio lavoro è consegnato ad altri. Il percorso che sto intraprendendo da tutta una carriera è spingere sempre più avanti la barriera tra documentario e fiction. La mia è stata una scelta narrativa: raccontare il più possibilie attraverso la sottrazione. La forza del documentario è la sperimentazione, senza di essa il documentario muore. Bisogna coltivare e spingere al massimo l'estrema libertà che questo modo di raccontare ci permette di avere.

Il suo film, finalmente, racconta un'Italia diversa. E' d'accordo?

La mia prima intenzione era uscire fuori da qualsiasi canone, di evitare il già raccontato. Io sento che il nostro paese, più che una crisi economica – quelle ci sono ogni dieci anni -, stia vivendo una tragica crisi di identità. Io ho cercato, con i miei personaggi, un'umanità fortissima che potesse raccontare la loro storia e staccare Roma dal pantano in cui si trova. Molti mi dicono che Roma è una città in crisi, mummificata. Il GRA, invece, è un luogo dove c'è vita, uno spazio ideale dove ogni futuro è possibile. Solo in quei luoghi si può trovare un potenziale enorme, si può avere il pretesto di raccontare qualcosa di altro. 

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