VENEZIA 70 – "L'arbitro", di Paolo Zucca (Giornate degli autori)
La ricerca estetica dell'autore, basata sulla commistione di toni alti e bassi, caratterizza l’intero corso del film e definisce due modi di vivere il calcio estremamente antitetici tra loro, ma destinati a incontrarsi e a fondersi in un disegno divino salvifico in cui calcio e religione sono l’anello di congiunzione tra l’isola e la terraferma, tra il passato ancestrale e il presente
Due situazioni paradossali, due mondi antitetici, destinati a incontrarsi e a fondersi in un disegno divino salvifico. Calcio e religione sono l’anello di congiunzione tra l’isola e la terraferma, tra il passato ancestrale e il presente. I calciatori si preparano ad affrontare l’arena come guerrieri d’altri tempi, con preghiere sussurrate e segni di croce, caricando ogni rituale di paura e speranza di vincere. Che si tratti di una squadra scalcinata allenata da un cieco, o di calciatori milionari, i rituali non cambiano e il potere del calcio incombe su tutti i suoi protagonisti, tifosi compresi. Gli striscioni sugli spalti si alternano con lugubri agnelli crocifissi e i calciatori, elevati all’altezza di santi, sono portati in trionfo dai tifosi della squadra come le statue delle processioni religiose che ondeggiano tra i vicoli del paese, in un rituale al limite del pagano che cancella i peccati più turpi dalla coscienza dell’intera comunità. Qualcuno sarà santificato e qualcun'altro crocifisso, Dio e la comunita sono i giudici supremi, la vita dei calciatori e degli arbitri, giudici a loro volta della partita, è nelle loro mani e basta un passo falso per essere scaraventati dal paradiso all'inferno. E l'arbitro Cruciani, maniacale ed ossessivo e il più casereccio Moreno sono i due lati della medaglia, i due ladroni che si affidano nelle mani di Dio.
Il film, tratto dall'omonimo cortometraggio vincitore nel 2009 del David di Donatello, vanta una fotografia elegante e ricercata, che con il bianco e nero annulla il contesto spaziale e temporale, astraendo la vicenda in un non luogo, abitato da volti scolpiti dal sole e dal sudore che si sfidano e si ammazzano a sangue freddo, senza perdere la loro dimensione comico-grottesca. Il registro epico si alterna in modo imprevedibile e incostante con i toni comici, strizzando da una parte l’occhio alla Tempesta shakespeariana, e dall’altra al cabaret di gusto squisitamente italiano. E se l’allenatore cieco Prospero, che ha il potere di calciare il pallone tastando il vento con le dita, sfiora la poesia, ad alleggerire i toni ci pensa la giovane figlia Miranda, alle prese scaramucce amorose con Matzutzi, la promessa del Pabarile appena sbarcata dall’Argentina.
La ricerca estetica dell'autore, basata sulla commistione di toni alti e bassi caratterizza l’intero corso del film e trova il suo corrispondente nella messa in scena, in cui i campi rattoppati del villaggio sardo si contrappongono agli spazi vasti e lussuosi degli stadi europei, in un continuo susseguirsi di ambienti e costumi, che definiscono scena dopo scena due modi di vivere il calcio estremamente diversi ma accomunati dal desiderio di vincere seguendo le regole come sacre scritture e di guadagnare così la redenzione. Chi si oppone a questo disegno è destinato alla dannazione eterna, e poco conta lo status sociale o la maglietta che si indossa, di fronte al calcio sono tutti uguali.