VENEZIA 70 – “Philomena”, di Stephen Frears (Concorso)

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Forse il controllo, inteso come particolare ingessatura, qualcuno potrebbe riscontrare in Philomena, in realtà. O addirittura, un eccesso di effetti cadenzati, tra il riso e l’amaro. Ma nel regno del cinema di Frears, una risposta comica è più elastica, più efficacemente in rivolta contro il terrore e le fonti di terrore di una risposta che sia solenne o tragica. Il modo mimetico è quello caratteristico di una grande serietà, in quanto il suo cinema tragico accetta che ciò che è avvenuto passi, o quantomeno emerga

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philomenaCosa accomuna la Regina Elisabetta di The Quenn a Philomena Lee? Forse T.S. Eliot: “Non smetterò di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo la prima volta. Come Philomena anche Elisabetta, prima di ogni scena, è una donna che parte dalle retrovie per poi uscire sicura dal cunicolo dell'autocontrollo e dell'autodisciplina. Ritrovare finalmente il figlio sottratto cinquant’anni prima dalle “Magdalene”, perché nato da una relazione clandestina, è un po’ come quando la Regina risale da sola in jeep per la sua tenuta scozzese e un piccolo incidente la costringe, a incrociarsi con il cervo, sontuoso e spaurito animale incastonato nel rigoglio naturalistico. E' in questo scambio di sguardi tra il cervo, la Regina e Philomena che il cinema di Stephen Frears non tradisce mai e continua a raccontare anche sui titoli di coda, la trama di un libro letto dalla protagonista, forse stupida, banale, ma sentita, terribilmente subita. Stephen Frears è il regista dei contrasti, dell’umorismo impregnato di tragedia e viceversa. E forse in comune tra Helen Mirren e Judi Dench potrebbe giungere una Coppa Volpi. Questo immenso regista, non si erge mai, anche quando affonda il tiro, a dispensatore di metafore sul mondo, sull’esistenza, sulla disperazione umana; è tremendamente aggrappato allo scorrere delle immagini, della vicenda, che sembra proprio non sentire l’esigenza di stupire a tutti i costi. Trovare una storia, proprio come il cinico giornalista del film, smanioso di risalire la china con uno scoop, dopo un periodo di declino professionale.

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philomenaCosa quindi accomunerebbe Stephen Frears al giornalista silurato dalla BBC, Martin Sixsmith? Probabilmente poco, ma senz’altro il comune desiderio di libertà e irriverenza, che si nascondono tra le maglie dell’inchiesta, dell’indagine fugacemente black-comedy, tradizionalmente free-cinema. Forse il controllo, inteso come particolare ingessatura, qualcuno potrebbe riscontrare in Philomena, in realtà. O addirittura, un eccesso di effetti cadenzati, tra il riso e l’amaro. Ma nel regno del cinema di Frears, una risposta comica è più elastica, più efficacemente in rivolta contro il terrore e le fonti di terrore di una risposta che sia solenne o tragica. Il modo mimetico è quello caratteristico di una grande serietà, in quanto il suo cinema tragico accetta che ciò che è avvenuto passi. Il suo incedere antimimetico è caratteristico della commedia perché possa resistere al fatto che ciò che si è verificato se proprio non passa, quantomeno emerga. Se fosse una sinfonia sarebbe un Allegro non troppo: profondamente melodioso. Nell'elaborazione della tragedia, tuttavia, emerge un tono più appassionato, che viene a turbare il carattere idilliaco del movimento. Segue poi una successione di passaggi di effetto quasi burrascoso, fino alla dissonanza, ma le acque tornano a calmarsi in fondo, a riecheggiare la lezione sul perdono di Madiba.

 
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