VENEZIA 71 – Before I Disappear, di Shawn Christensen (Giornate degli autori)

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Before I Disappear è una ballata romantica melanconica ed emotivamente genuina che celebra l’amore per la vita attraverso il passaggio obbligato per la sofferenza.Su un impianto stilistico originale ricco di sequenze riuscite , il regista colloca il classico ritratto della famiglia americana in crisi, senza una guida genitoriale e costretta a far fronte alle problematiche adolescenziali

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Primo lungometraggio dell’ex leader dei Sellastarr, Before I Disappear è una ballata romantica melanconica ed emotivamente genuina. Richie è un ragazzo fragile che trova nei ripetuti tentativi di suicidio la speranza di porre fine a un’esistenza triste e degradante. Durante una di queste sessioni sanguinose riceve la telefonata inaspettata della sorella che non vede da anni. Lei gli chiede se può occuparsi di sua figlia. Lui accetta e inizia, inconsapevolmente, un viaggio di redenzione che lo porterà a superare il dolore per la perdita della sua fidanzata e a reagire all’apparente solitudine che lo circonda.

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Christensen, qui nelle vesti di attore, sceneggiatore e regista, riprende il cortometraggio diretto nel 2012, Curfew (vincitore del Premio Oscar), espandendo la materia al suo interno in una storia che affronta temi delicati quali la morte, la depressione e l’abuso di droghe. Il registro narrativo, però, pur essendo drammatico, presenta dei momenti intrisi di magico realismo in cui la fantasia del protagonista assume le forme più bizzarre a ritmo di brani classici e rock. Queste sospensioni temporali, caratterizzate dall’assenza di dialogo a favore di una visionarietà surreale, sembrano riflettere il tono dolceamaro del film, che celebra l’amore per la vita attraverso il passaggio obbligato per la sofferenza: proprio come Sophie, il personaggio animato del flipbook di Richie, che rinasce ogni volta nonostante le capitino diversi incidenti. Su un impianto stilistico originale ricco di sequenze riuscite (il ballo anacronistico a metà tra Pulp Fiction e Blues Brothers), il regista colloca il classico ritratto della famiglia americana in crisi, senza una guida genitoriale e costretta a far fronte alle problematiche adolescenziali (quelle di una fredda e cinica nipote interpretata dalla giovanissima e brava Fatima Ptacek).

L’uso del ralenti, le cromie brillanti contrapposte alle atmosfere notturne della città e la brevità della storia (gli eventi si svolgono in poche ore), amplificano la soggettività dello sguardo che trasporta lo spettatore in un mondo nostalgico e vibrante, come il telefono con filo da cui dipende il destino di Richie, in attesa forse di una chiamata, di una lettera o semplicemente di un affetto sincero.

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