VENEZIA 71 – The President, di Mohsen Makhmalbaf (Orizzonti)

The President, Makhmalbaf, Orizzonti

Ispirato alle tante vicende che in questi anni hanno visto il proliferare di rivoluzioni sanguinose per rovesciare decennali dittature, The President di Mohsen Makhmalbaf si affida ad narrazione esclusivamente dedicata ai fatti quasi evitando qualsiasi ingresso ai sentimenti che restano solo sfiorati e superficiali.

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The President, Makhmalbaf, OrizzontiLo sguardo di Mohsen Makhmalbaf con The President vuole ricercare, dentro le pieghe della recente storia e della sua cronaca che in questi anni si è fatta più fitta e costellata di guerre sanguinose e violenze inaudite, le tracce di una umanità che sembra essersi perduta tra i mille rivoli di quel sangue. Per intere generazioni sembra non esista alcun sentimento o segno di solidarietà, ma solo una violenza che si fa incandescente perpetuandosi in un circolo vizioso che non sembra interrompersi. Queste le intenzioni, ma altro sembra essere l’esito dell’opera.

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Pur nella sua compattezza narrativa, il film non sembra offrire molti altri spunti per una riflessione più profonda che non sia quella immediata e quasi mai originale ispirata dalla cronaca quotidiana. In un paese immaginario un dittatore viene improvvisamente rovesciato. Tenterà di fuggire con il nipotino, ma pur mettendo in atto stratagemmi e mascheramenti per sfuggire al popolo inferocito e per scongiurare il rischio di essere catturato per una taglia che si fa di giorno in giorno sempre più ricca, le sue colpe gli si ritorceranno contro. Ispirato alle molte primavere che in questi anni sembravano avere colorato le sponde del Mediterraneo e presto diventate autunni tristi, seguiti da gelidi inverni, il film del regista iraniano si lega ad un andamento quasi cronachistico della fuga del dittatore e del suo inconsapevole nipote.

In questa quotidianità stravolta e tra i mille incontri che la fuga gli offre, forse per conoscere davvero il dolore della sua gente, il film di Makhmalbaf non riesce mai sollevarsi da una narrazione esclusivamente dedicata ai fatti quasi evitando qualsiasi ingresso ai sentimenti che restano solo sfiorati e superficiali. Eppure è un peccato perché in quei momenti in cui sembra aprirsi la possibilità per un ingresso delle emozioni, il film sembra illuminarsi, sembra per un momento riconciliarsi con un cinema che non sia solo affastellare fatti per raccontare solo una storia. Adeguandosi ad un realismo che si infrange, solo occasionalmente, su quelle schegge emotive che si intravedono, il film si chiude su se stesso raccontando solo della fuga senza riuscire o volere trovare uno spazio per quella umanità che pure sembra invocata a gran voce. Ciò che riesce a Makhmalbaf è di disegnare il profilo gretto e meschino, di questo anonimo dittatore che vede, perfino nel nipotino, frastornato a sua volta da qualcosa che non riesce a comprendere, un impedimento alla sua salvezza.

Makhmalbaf a proposito di questo film ha detto che si tratta di una fiaba moderna sul potere, sulla riconciliazione e sulla speranza di interrompere un’interminabile spirale di atrocità che esplora la possibilità di arrestare la violenza dopo una rivoluzione e di perseguire la libertà e la democrazia. Il tentativo è quindi di fare comprendere che alla violenza, ad un certo punto, non si può più rispondere con altra violenza e la sceneggiatura delega ad un personaggio marginale questo condivisibile invito. Ma il tema è prevedibile e la messa in scena non concede alcuna sorpresa. Anche in questa occasione la soluzione è quella di sfiorare la didascalia. Le parole e il senso arrivano diretti, come una freccia, ma la punta è spuntata e il film non sembra ferire, non sembra colpire il segno: The President resta a farsi guardare senza noia, ma anche senza empatia.

 

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