VENEZIA 71 – The Smell of Us, di Larry Clark (Giornate degli autori)

Il pubblico, benché smaliziato, sbaglia nel prendere come provocazioni ciò che per Clark è invece la sua unica realtà. Il suo non sapersi reinventare è sintomatico di quanto tutto ciò che passa davanti all’occhio della sua camera passi prima per la sua testa. Non la realtà, ma una realtà. Una realtà forse troppo vecchia per essere ancora reale.

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the smell of usCi si chiede fin dalla prima inquadratura quanto ci sia di consapevole nel cameo di Larry Clark nei panni di un vecchio barbone alcolizzato che giace inerme lungo l’asfalto mentre un gruppo di giovani skater lo usa come ostacolo per i loro tricks. Ci si chiede quanto questa immagine possa rimandare a un regista a tutti gli effetti prono, succube delle sue ossessioni, se così le vogliamo chiamare, a cui ha dedicato oltre quarant’anni di carriera

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Nonostante lo stesso Clark affermi che la gestazione di The Smell of Us sia durata vent’anni, ci troviamo comunque di fronte allo stesso paesaggio che, da Tulsa a Marfa, e ora in Francia, non è cambiato poi molto. Nonostante la trasferta francese il canovaccio si ripete inesorabile, gli elementi cari al regista tornano tutti senza destare particolare sorpresa. Larry Clark dirige un film di Larry Clark. Senza ironia o autocitazionismo. Non è una questione postmoderna: Larry Clark dirige ciò che piace a Larry Clark, come ha sempre fatto e come continuerà a fare con buona pace della critica. Tolti di mezzo i problemi di distribuzione puntando direttamente sulla diffusione online per il precedente Marfa Girl, e alleggerito dal digitale e dalle ancor più flessibili camere degli smartphone, il regista di Tulsa continua a fare ciò che gli va evitando qualsivoglia ostacolo. Una così rigida ostinazione nel trattare lo stesso soggetto per decenni, prima che con il cinema con la fotografia, è quantomeno rispettabile. E non c’è dubbio che la tecnica si sia affinata con gli anni, e quest’ultimo film si dimostra molto più maturo e ragionato del già citato Marfa Girl.

Larry Clark e il cast di The smell of usAbbandonata la, comunque flebile, struttura narrativa dei suoi primi lavori, gli ultimi sforzi di Clark sono frammenti esplosi di adolescenza selvaggia che si accumulano per eccesso, qui ulteriormente distrutti dagli inserti in digitale grezzo, che bloccano l’immagine e la scompongono in pixel e difetti grafici (a essere sinceri gli unici momenti paradossalmente sinceri o, quantomeno, liberatori). Ma una pietra, benché limata negli anni, rimane comunque una pietra. A meno che non si abbia l’intraprendenza guerriera di mutare la pietra in punta di freccia, che possa aprire uno squarcio e risvegliare la carne. Ma nonostante la carne abbondi nel mondo di Clark, il suo immaginario è talmente stantio da sgretolarsi all’impatto. Cassavetes non ha fatto altro che riprendere adulti che giocano a fare i bambini, Clark da più di cinquant’anni riprende adolescenti che giocano a fare gli adulti. Ma se le foto realizzate da Clark a cavallo tra ’70 e ’80 continuano a essere lavori seminali e di grandissima importanza, la sua filmografia non sembra in grado di produrre un simile risultato, ancorata ormai a un’estetica abusata e venuta a noia: sarebbe quanto mai difficile distinguere i personaggi di The Smell of Us da una qualsivoglia campagna pubblicitaria di American Apparel o da uno scatto a caso frontal-pornografico di un qualsiasi Terry Richardson.

The smell of usDa parecchio tempo a questa parte il rapporto tra pornografia e realtà si è rovesciato: se la prima poteva al massimo ambire ad essere una grottesca parodia della seconda, oggi più che mai essa è il fattore che maggiormente deforma e piega la realtà a pensare e vivere in termini pornografici, insomma ciò che Pasolini temeva e preannunciava nella sua abiura della Trilogia della vita: “l’ansia conformistica di essere sessualmente liberi che trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti […] e perciò infelici”. Forse ciò che più dispiace è che in questo ultimo lavoro, si intravedano finalmente dei momenti di vuoto strappati al piattume della storia, dei momenti in cui tristezza e mancanza non sono solo evocati ma si insinuano per pochi secondi in qualche gesto o sguardo, salvo poi rimanere sommersi dal soffocante esibizionismo esplicito a cui Larry condanna i suoi attori. Il carattere vacuo della realtà ben si rispecchia in questa struttura volutamente aperta e contraddittoria dove ogni tempo è tempo morto, soprattutto i rapporti sessuali autodistruttivi dei protagonisti/prostituti. Ma chissà se tutto questo è intenzionale o, per forza di cose, incidentale, visto l’entusiasmo perverso che ancora anima la camera di Clark nell’indugiare su questi giovani corpi condannati poi all’oblio una volta finita la visione (si veda in proposito l’interessante documentario, ancora in lavorazione, di Hamilton Harris, uno degli attori del film culto Kids che, a differenza di Korine e Sevigny, è rimasto, insieme a molti altri, marginalizzato nella povertà del suo quartiere mentre Clark e soci si costruivano una carriera sfruttando in parte la sua realtà).

 

Il pubblico, benché smaliziato, sbaglia nel prendere come provocazioni ciò che per Clark è invece la sua unica realtà. Il suo non sapersi reinventare è sintomatico di quanto tutto ciò che passa davanti all’occhio della sua camera passi prima per la sua testa. Ogni ripresa è la riproposizione di un ossessione di cui Clark sembra non riuscire a liberarsi. Non una critica sociale, non un commento, non la realtà, ma una realtà. Una realtà forse troppo vecchia per essere ancora reale.

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