Venezia 72 – La Turchia contemporanea, tra incubo e realtà, incontro con Emin Alper

La sezione del concorso ha ospitato il film di Emin Alper, Abluka. I fatti narrati oggi sono la quotidianità della Turchia. Il regista con toni preoccupati ne sottolinea la coincidenza.

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Presentato nella sezione del concorso il film di Emin Alper è un interessante incursione nella contemporaneità attraverso la materia del sogno o dell’incubo. Dalle parole del suo regista apprendiamo che la situazione della Turchia di oggi è pienamente rappresentata nel film.

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Nel suo film si ha l’impressione che vi sia una voluta indeterminatezza temporale. Siamo in una città nel passato, nel presente o addirittura nel futuro?
È vero è una precisa idea che abbiamo avuto fin dall’inizio. Non volevamo che ci fosse alcun riferimento temporale, né agli anni 70, né agli ’80, né ai ’90 e neppure al futuro. In Turchia in questo momento stiamo vivendo un clima politico molto particolare e siamo quasi in una situazione bellica e sinceramente non pensavamo di ritrovarci con l’uscita del film in questa situazione che pare identica a quella che si vive nella vicenda che abbiamo raccontato.

 

Nel film c’è una progressiva alternanza tra piani di realtà e

di sogno e immaginazione e questa progressione arriva a confondere i piani stessi e perfino lo spettatore…
Abbiamo provato a fare si che la fantasia, il sogno e la realtà si confondessero perché il personaggio si perdesse in questo mondo alterato dalla sua immaginazione. Volevamo che arrivasse a non distinguere più quello che è vero da quello che è falso e che ogni situazione avesse un confine sfumato e in realtà la stessa cosa vorrei che avvenga per gli spettatori, che si perdano in questo mondo così confuso. In fondo con il nostro film volevamo parlare della follia e avevo davanti a me due possibilità o narrare una storia come un narratore tradizionale oppure scegliere un’altra strada forse più complicata e ho scelto questa seconda possibilità.

 

Esistono, in questo film, delle assonanze con Dietro le colline, il suo film precedente…
Si è vero che esistono alcuni punti in comune. D’altra parte parlo sempre del mio Paese e in questi ultimi anni in Turchia sta accadendo che la gente è sempre più sospettosa e considera spesso il proprio vicino come un nemico. Purtroppo non ci fidiamo più l’uno dell’altro e viviamo nella continua ansia della cospirazione e del complotto che vediamo da ogni parte e in ogni situazione e la gente si sente vittima di questi complotti e di questi nemici immaginari. Credo che il più delle volte il nostro nemico sia nella nostra testa.

 

In questo film lei sembra relativizzare il tempo allontana eventi vicini attraverso un sapiente utilizzo della ripetizione delle sequenze, quanto c’ di vero in questa considerazione…
Avrei potuto scrivere una sceneggiatura lineare, ma la struttura del film e quindi anche della sua scrittura è stata determinata anche dal carattere paranoico del personaggio e così ho verificato, in fase di montaggio che la linearità del racconto non funzionava bene e che spezzare la consequenzialità dei fatti fosse il modo migliore per rendere bene l’ambientazione e soprattutto la paranoia dei personaggi.

 

Ci sono dei registi ai quali si sente vicino e dai quali ha tratto ispirazione per il suo lavoro e per questo in particolare che si muove tra sogno e realtà
Si mi sento molto vicino a molti miei colleghi della mia stessa generazione e che fanno un ottimo cinema. Quanto a questo ultimo lavoro mi sono sicuramente ispirato soprattutto a Polanski e Kubrick, ma i miei riferimenti sono anche altri, Fassbinder o Visconti e De Palma.

 

I cani e i rumori, nel suo film ce ne sono tanti sia dell’uno

Abluka

Abluka

che dell’altro…
Quanto al rumore la sua invadenza è voluta e nella sceneggiatura questo aspetto dei rumori è sottolineato. Mi pare che il suono sia un elemento fondamentale del film. Quanto ai cani è vero che in Turchia abbiamo molti cani randagi e un tempo venivano soppressi oggi, invece, vengono sterilizzati. Ma non ne so molto di più della questione.

 

Come avete lavorato per i vostri rispettivi personaggi?
Mehmet Özgür – Ho imparato a memoria l’anima del mio personaggio che non ho trovato troppo lontano da me. Il personaggio ha le sue paranoie e le abbiamo messe a punto con il regista e con lui abbiamo un modo di lavorare molto simile. Abbiamo trascorso molto tempo a costruire il passato di Kadir e così lentamente è venuto fuori il mio personaggio. Quindi non ho avuto troppa difficoltà nel crearlo,

Berkay Ateş – Avevo di fronte una sceneggiatura molto forte e il lavoro sul carattere del mio personaggio è stato soprattutto quello legato alle sue paranoie e alla solitudine. Con Emina Alper abbiamo discusso molto e quasi su ogni battuta. È vero che ci sono molte persone che vivono in Turchia che vivono come vive il mio Ahmet e abbiamo provato a trasferire sullo schermo, nel modo più realistico possibile questa condizione. Anche questo personaggio vorremmo che la gente avesse un’idea di ciò che accade nel nostro Paese.

Tülin Özen – Ci siamo ritrovati a fare molte prove come si fa solitamente in teatro e questo metodo mi è piaciuto moltissimo e ho voluto fare parte di questo progetto. Posso solo dire che oggi stiamo vivendo quello che è scritto nella sceneggiatura di questo film.

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