#Venezia 72 – “La verità in 24 fotogrammi al secondo”. Gli 11 minuti di Jerzy Skolimowski

Il regista polacco presenta in Concorso il suo ultimo film che esplora l’imprevedibilità del caso attraverso un sublime gioco sul suono e l’immagine

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11 minuti nella vita di un gruppo di persone. 11 minuti che possono cambiarla per sempre. Dopo Essential Killing, presentato a Venezia nel 2010, Skolimowski torna in Concorso con un film coraggioso che esplora l’imprevedibilità del caso attraverso un sublime gioco sul suono e l’immagine. All’incontro, oltre al regista, erano presenti gli attori Wojciech Mecwaldowski e Paulina Chapko e la produttrice Ewa Piaskowska.

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Come ha sviluppato lo stile del film?
Jerzy Skolimowski: Il film è una risposta ai film d’azione di Hollywood. Per questo ho usato anche un tocco di violenza. Lo stile poi si è sviluppato sul set, nel corso delle riprese. Mi sono divertito molto a fare questo film. Il momento più doloroso è stata la redazione della sceneggiatura. Quando ho iniziato a lavorarci, ho cominciato dalla fine e ho proceduto a ritroso in modo che le storie di tutti i personaggi si combinassero alla perfezione.

Perché ha scelto di raccontare 11 minuti della vita di persone comuni?
Jerzy Skolimowski: Stavo cercando di mostrare una verità, di metterla in luce. Voglio mostrare la realtà, anche quei momenti che di solito vengono lasciati sul pavimento della sala di montaggio. Voglio seguire i personaggi in tempo reale. La verità in 24 fotogrammi al secondo. Il titolo del film si riferisce a quei 11 minuti che vanno dalle 17 alle 17,1

1 e quindi il prologo, che avviene prima di quell’ora, doveva essere realizzato in modo diverso; ho usato vari strumenti per realizzarlo, come telecamere, ipad e smarthphone perché volevo comunicare l’idea che fosse materiale intimo e autentico.

La scelta di ambientare il film a Varsavia ha un significato particolare?
Jerzy Skolimowski: No, si tratta di una storia universale che potrebbe essere ambientata ovunque. Ho girato il film a Varsavia perché è la città in cui vivo ed era facile trovare i posti giusti per le riprese.

Il titolo del film e l’immagine dell’aereo sono un rimando all’11 settembre?
Jerzy Skolimowski: Il legame di questo film con gli eventi dell’11 settembre è molto vago. L’11 settembre è un evento troppo grande per un film. Certo, gli aerei che si vedono potrebbero avere una qualche connessione con quell’evento. In realtà ho utilizzato gli aerei come misura del trascorrere del tempo, perché volano alle 17,05 e quindi quando li vediamo sappiamo che ci troviamo in quel momento preciso. Si è trattato di una scelta pratica più che di un desiderio di arrivare a una metafora.

Per gli attori, cosa avete scoperto del film dalla sceneggiatura e cosa avete capito dopo, a riprese ultimate?
Wojciech Mecwaldowski: Non so cosa abbiamo scoperto durante il film. Ero talmente immerso nella parte del marito geloso che ho guardato al resto solo a film concluso. E ho capito che raramente ci rendiamo conto di quanto sia prezioso il tempo che abbiamo a disposizione.21448-11_minut_2_-_Paulina_Chapko__Richard_Dormer
Paulina Chapko: È stato un lavoro incredibile perché ognuno di noi era concentrato sulla propria storia, sul suo personaggio e su cosa fosse importante per lui. Nella nostra testa avevamo le risposte a queste domande ma avevamo pochissimo tempo per attraversare il personaggio e renderlo efficace.

Come ha costruito la sequenza del ragazzo in ascensore?
Jerzy Skolimowski: Si tratta di una persona che spaccia e fa uso di droga. Chi ha avuto questa esperienza sa che quello che si prova è strano. Nella sua testa l’ascensore precipita così in fretta che cerca di aggrapparsi a qualcosa. Ma è tutto frutto della sua immaginazione. È una scena che mi piace molto perché è reale.

Era necessario usare una catastrofe per il finale del film?
Jerzy Skolimowski: Se non ci fosse quel finale il film non avrebbe senso. Volevo mostrare che qualsiasi cosa può succedere in pochi minuti. La vita è un tale tesoro e capiamo di averlo sono quando la perdiamo. Usiamolo nel modo migliore che possiamo fintanto che siamo vivi.

Per la produttrice, fare questo film è stata una sfida?
Ewa Piaskowska: Al contrario, è stato facile da fare e non è stato costoso. Il budget era di 8 milioni di euro. Abbiamo girato vicino, a Varsavia, con una troupe che conoscevamo. Inoltre, grazie al coproduttore irlandese siamo riusciti ad assicurarci un finanziamento.

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