#Venezia72 – Lao Pao Er (Mr. Six), di Guan Hu

La Mostra si chiude con i valori perduti di una Cina del passato, incarnati da un protagonista che tara il tono del racconto su una calma apparente, in attesa dello scontro con il mondo che verrà

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Un film di violenza negata questo Mr. Six, attraversato com’è dalla perenne aspettativa di uno scontro fra le parti che non vedremo mai accadere. Il tono è infatti tarato sulla calma apparente dell’eponimo protagonista, Mr. Six appunto (interpretato da Xiaogang Feng), ex capobanda di una gang da strada, in una Pechino che non esiste più. La gente del suo quartiere, però, ancora gli tributa il rispetto di un tempo, ma quando suo figlio resta invischiato in una brutta storia con la nuova malavita che si muove fra corse clandestine e spaccio, arriva l’ora di fare i conti con un mondo più grande e che non segue le vecchie regole dell’onore.

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L’assunto è quasi programmatico nel mettere in scena lo scontro fra i valori di un altro tempo e un presente ritratto con toni abbastanza naif (fra auto di gran lusso e acconciature da fumetto), come tutto è sopra le righe nella storia di questo anziano ma indomito seguace dell’onore, che zittisce i nemici torcendo loro un solo dito e impartendo lezioni di morale. A dare vigore c’è il senso di un tempo dilatato nell’immobilità dei principi del personaggio, che sembra così permeare l’intera realtà, regalando un tono elegiaco alla vicenda.

Più che lo scontro fra la nostalgia del perduto e la voglia di tracciare un possibile dialogo con le nuove generazioni a cui non sembra importare nulla, il film funziona laddove cerca una sospensione del tono che genera una sorta di malinconica poesia. La negazione dell’azione, in questo senso, serve come programmatica scelta di campo rispetto a quella battaglia di strada cui pure il protagonista sembra anelare come unico codice in grado di unire passato e presente.

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