#Venezia 72 – Non essere cattivo, di Claudio Caligari

Si comincia con un campo lungo sul lungomare di Ostia, e subito il film trova il tempo per rendere un omaggio ad Amore tossico e alla celebre sequenza del gelato: il cinema di Claudio Caligari, così esiguo in termini numerici eppure talmente grande, generoso e unico, appare immediatamente come un universo a se stante, nel quale i due titoli precedenti sembrano dipingere lo sfondo sul quale vivono e agiscono i personaggi di Non essere cattivo. Come se tutto dovesse necessariamente ripartire da quei luoghi, da quelle situazioni; da quel passato che ritorna sempre ma dal quale è necessario riuscire a svincolarsi, per ricominciare (o per far ricominciare gli altri). Non è mai facile parlare di un’opera postuma, soprattutto quando riguarda un regista amato come Claudio Caligari. Figura introversa e da sempre lontana dai riflettori, capace di far parlare di sé solamente attraverso tre film in oltre trent’anni: da quell’Amore tossico del 1983, appunto, passando per il sottovalutato L’odore della notte del 1998. Storie di tossicodipendenza e di criminalità, di personaggi invisibili condannati a vivere ai margini della società, che oggi ritornano a vivere con forza in questo suo ultimo e atteso film. Non è questione di autoreferenzialità: Caligari non ritorna su se stesso per ripetersi, bensì per affermare e proseguire (anzi, chiudere) una visione delle cose che attraverso un pugno di titoli si è fatta già immaginario. C’è Ostia, le borgate, i bar squallidi di periferia; ci sono i tossici, gli spacciatori e le puttane. Ma soprattutto c’è l’umanità di uno sguardo bellissimo sulla realtà delle cose, capace di rendere viva qualsiasi cosa si metta a filmare; in questo, sì, è possibile ritrovare l’eredità di un Pasolini e dei suoi ragazzi di vita, come se tutti questi anni di distanza non siano riusciti a cancellare la bellezza e il dolore di quelle vite vissute troppo in fretta, voracemente, come un virus spietato.

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La storia è quella di Cesare (si chiamava così anche il protagonista di Amore tossico) e

1429108967594Vittorio, amici per la pelle e ragazzi di borgata, che trascorrono le giornate compiendo piccoli crimini per potersi permettere la droga; quando la vita imporrà loro delle scelte, intraprenderanno percorsi differenti che li segneranno profondamente. Come in L’odore della notte, tutto il film è una cavalcata inarrestabile, la dichiarazione consapevole che qualsiasi tentativo di trovare un punto fermo si traduce in fallimento; la narrazione è frenetica e convulsa, episodica, frammentata, perché tutto scorre talmente velocemente che è impossibile riuscire a fermarsi, anche solo per un attimo. Ambientato nel 1995, Non essere cattivo guarda al passato come a un lascito di croci e di morti, ed è soprattutto la storia di un’eredità: quella lasciata da chi è scomparso a causa delll’AIDS, condannando anche la propria figlia, e quella raccolta da chi verrà poi (il primo piano del neonato che chiude il film). Nel mezzo, le vite di Cesare e Vittorio, corpi vivi che anche quando lottano e si prendono a pugni non possono fare altro che stringersi in un abbraccio; corpi che amano e piangono (provate a contare le lacrime versate da Vittorio nel corso del film: sono tantissime), messi in scena da Caligari con una passione e un trasporto che diventa un personaggio a parte, e che ci sembra quasi di vedere correre insieme a loro, ai margini dell’inquadratura, nei movimenti convulsi di macchina e nel commento musicale sparato a mille. Si vede tutto l’amore e si vede la rabbia, quella consapevolezza di filmare le cose per l’ultima volta (le croci che cadono, il cimitero, l’orsacchiotto di pelouche) che però può permettere ai personaggi di vivere ancora (la postilla finale, un anno dopo), passando il testimone alla generazione successiva. Ma Non essere cattivo deve necessariamente essere pensato come grande cinema anche in maniera svincolata dalla sua natura postuma: perchè è sempre più raro vedere tanta vita furente rincorrersi all’interno di un singolo film, con un amore nei confronti dei suoi personaggi che rispecchia coerentemente l’umiltà di un artista che non ha mai raccontato la realtà con lo scopo di salire in cattedra, bensì per condividere la bellezza e la poesia che si nascondono dietro le sue storie. Senza mai sforzarsi di piacere a tutti i costi, senza avere mai la tentazione di tirarsi indietro.

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