#Venezia 79 – Padre Pio: Incontro con Abel Ferrara e il cast artistico

Dopo il passaggio a Venezia 79, il regista Abel Ferrara racconta i motivi che l’hanno portato a fare il film sul santo di Pietrelcina, la lavorazione ed il suo talento letterario “come Baudelaire”

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È un Abel Ferrara come al solito larger than cinema quello che si presenta alla Casa degli Artisti a #Venezia79 per l’incontro con la stampa per il suo film Padre Pio, in concorso alle Giornate degli Autori. Mentre i giornalisti aspettano tranquillamente che il cast artistico prenda posto sul palco, il regista newyorchese rimbrotta teneramente i suoi collaboratori affinché si sbrighino. Un modo sottile di sedurre la platea col suo gigionismo e, allo stesso tempo, la perenne voglia di raccontare la sua ultima inaspettata opera, il film sul frate cappuccino venerato come santo dalla Chiesa cattolica nel 2000. Perché un film proprio su Padre Pio, è la domanda che gli viene naturalmente rivolta dal pubblico, e cioè su una figura ambigua con fama di gretto impostore e, finché era in vita, osteggiata persino dalla sua stessa istituzione? Ferrara glissa sulla nota polemica – anche perché su questi temi ha già ampiamente trattato nel documentario del 2016 Searching for Padre Pio – e risponde raccontando dell’incontro avuto con questo personaggio: “Io l’ho conosciuto come un santo, fin dalla prima volta che ne sentii parlare, e mi sono chiesto: cosa rende una persona un santo? Ricordo che stavo lavorando a Napoli e lì, ovunque tu ti possa trovare, vedi immagini e santini o di Maradona o di Padre Pio, non puoi sbagliarti, e mi sono appassionato e incuriosito“. Insomma, il film non intende affrontare dispute teologiche sulla fede, come chiosa lo sceneggiatore del film Maurizio Braucci, storico e scrittore napoletano: “Tutta la religione è un’impostura, tutta la religione è verità: in fondo si tratta di scommettere in senso pascaliano“.
Per il regista, Padre Pio ha risposto in maniera metafisica e spirituale alle arretratezze e storture del Sud Italia degli anni venti del Novecento, il periodo dal quale il film prende le mosse: “È stato un uomo che non si è mai mosso dalla Puglia, dove ci sono temperature altissime, eppure lui stava con questi abiti così pesanti sempre addosso ad ascoltare le lamentele delle persone, e aveva sempre una risposta, e questo lo ha reso famoso in tutto il mondo sebbene non si sia mai mosso da lì”. In più, non bisogna dimenticare che “senza nulla, a cavallo di un asino, è riuscito a costruire un ospedale da 35 milioni di dollari in un luogo dove non c’era nulla, nemmeno l’acqua corrente”.

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Di tutto l’enorme studio preparatorio fatto sul cappuccino, accomunato a quello compiuto per Pasolini (ed il nome dell’intellettuale friulano ricorre significativamente un paio di volte in questo intervento) il regista esalta la lettura del suo epistolario, pregno di sensibilità e compassione: “Per me lui è come Baudelaire, un grandissimo scrittore, che scrive cose incredibili. Ci ha consentito di arrivare al suo cuore, ecco perché un film su di lui”. Se Ferrara insiste su questo elemento umanistico è Braucci a mettere il cappello sull’accuratezza della ricostruzione storica di un elemento portante del film, e cioè l’eccidio del 1920 a San Giovanni Rotondo, che causò addirittura 14 morti e un centinaio di feriti, che gli storici già dagli anni ’70 hanno smesso di attribuire ai fantomatici “Arditi di Cristo”.
Per quanto riguarda la tensione costante di tutta questa prima parte, che assume toni western per la riottosità di San Giovanni Rotondo ad accogliere il poverissimo frate, il filmmaker statunitense lo motiva come il giusto compromesso audiovisuale tra l’aspirazione dell’individuo ed i problemi della comunità. Da tutto questo sostrato ideologico/confessionale è stato travolto, come è noto, l’interprete di Padre Pio nel film, Shia LaBeouf, a cui Ferrara riserva un breve ricordo: “Lui era già cattolico prima della lavorazione del film ma è stato fortemente scosso dalla figura del santo […] Ha dovuto imparare un canto dei monaci vecchio 500 anni ed è stato molto bravo nel cantarlo, così come nel recitare per qualche spezzone in latino“. Proprio a Joe Delia, che ha composto ancora una volta le musiche del film, e al montatore Leonardo Daniel Bianchi è affidata in chiusura lo svelamento dell’inesauribile ricerca che Ferrara compie anche in questi ambiti: “Abel spesso si innamora non di canzoni ma di parti che durano pochi secondi, motivi che poi tornano variati nel corso del film. Così facciamo un grande lavoro di mixaggio nell’estrarre per ogni canzone ogni traccia audio degli strumenti presenti ed intervenire su questi estratti per montarli poi nelle scene. Un montaggio, insomma, sia visivo che sonoro“.

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