#Venezia72 – Ana Yurdu (Motherland), di Senem Tuzen

Lo stanco dualismo tra modernità e tradizione non basta a giustificare un film povero di idee e di personalità. Alla Settimana della Critica

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Ha senso parlare ancora di new wave se i film che finiscono sotto questo termine non hanno praticamente nulla di nuovo, ma preferiscono adagiarsi sulle solite soluzioni codificate?

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Perché davvero, nel caso di Ana Yurdu gli elementi di certo cinema turco che ritroviamo puntualmente ai festival (ma il discorso potrebbe allargarsi pure alle fantomatiche new wave rumena e greca, se ancora qualcuno se le ricorda) ci sono tutti: dall’assenza di musiche alla fotografia dal cromatismo spento e autunnale, salvo il comparire sporadico di qualche candela che porta un po’ di luce in più; il paesaggio dell’Anatolia che qua viene però presto dimenticato in favore dei soliti interni fatiscenti, slavati e freddi; un certo distacco verso i personaggi in un film che invece dovrebbe fare delle loro interazioni il suo punto di forza. E poi, per non farsi mancare niente, una bestia sgozzata per dare quel tocco di folclore che non guasta mai (ma il gesto è solo suggerito, per non urtare i più sensibili) e infine un rapporto sessuale a metà tra il consenso e lo stupro, anche qua per accontentare un po’ tutti senza voler rischiare troppo. E davvero non basta il trito scontro dualistico tra tradizione e modernità incarnato da madre e figlia che si scontrano e si incontrano e un po’ litigano un po’ piangono un po’ si riappacificano, così come non basta giustificare il tutto dicendo che è un commento politico alla condizione della Turchia odierna, perché per fare un film politico ci vuole molto di più di questa stanca copia carbone (ma da un film prodotto con soldi statali non ci si potrebbe aspettare altro da questo punto di vista). Da una regista ci si sarebbe poi aspettato un trattamento ben più marcato e personale di tutti questi personaggi femminili, in un paese come l’Anatolia dove la figura della madre riveste un ruolo fondamentale. Eppure, dopo alcuni minuti iniziali dove il film mantiene un ampio respiro allargando il suo sguardo a più personaggi, presto si richiude in casa, dimenticandosi tanto dell’esterno quanto del contesto.

L’inquadratura è spesso incorniciata da elementi fuori fuoco, che rinchiudono ancor di più le protagoniste attraverso una griglia visiva presente anche negli esterni, dove i grovigli di rami ostruiscono la vista, come a voler indicare un di più che impedisce la corretta lettura di queste immagini. E forse è davvero complesso trovare la giusta chiave di lettura per questo film, ma ciò non basta a sopperire la mancanza di coraggio e, più in generale, di personalità.

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