#Venezia72 – “Entrare nello sguardo dell’altro”. Incontro con Aleksandr Sokurov e il cast di Francofonia

Il regista e il cast ci parlano del film, che racconta della collaborazione durante la guerra tra il direttore del Louvre e l’ufficiale dell’occupazione nazista per salvare le opere d’arte del museo.

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Visioni dal passato e riflessioni sul presente per l’atteso film di Sokurov che sbarca – è il caso di dire – al lido dopo il Leone d’oro 2011 per Faust. Sullo sfondo del secondo conflitto mondiale, Francofonia racconta la storia di collaborazione tra l’allora direttore del Louvre Jean Jacques Jaujard e l’ufficiale dell’occupazione nazista Franziskus Wolff-Metternich grazie alla quale l’integrità artistica e storica del museo è stata preservata. All’incontro erano presenti, oltre al regista e ai produttori, gli attori Louis-Do de Lencquesaing, Johanna Korthals Altes, Benjamin Utzerath e Vincent Nemeth.

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Francofonia farebbe parte di un ciclo di film sui musei iniziato con Arca russa. Ci può parlare di questo progetto?
Aleksandr Sokurov: Per ora non ho pianificato nulla, in questo film racconto una storia unica, separata. Per me il museo è uno dei miei personaggi, questo è importante.

 

Come è arrivato a sviluppare il suo linguaggio?
Aleksandr Sokurov: In un certo periodo della mia vita la forma era molto importante per me. Oggi è importante il significato delle cose. Risolvere il problema delle forme non lo trovo più interessante, anche se nel cinema i registi cercano sempre un

21410-Francofonia_5_-_Louis_Do_De_Lencquesaing__Benjamin_Utzerath’individualità. Per me l’individualità va risolta soprattutto tramite il significato artistico. Il mio desiderio era realizzare un’opera artistica, cioè una rappresentazione soggettiva, solida, né pubblicitaria né storica. Volevo aiutarvi a capire, a reagire, provocare nella vostra testa e nel vostro cuore un subbuglio. Ci sono tanti quesiti con cui il vecchio mondo si è scontrato e ancora oggi si scontra. Oggi i politici non rispondono alle nostre domande, forse non hanno saputo farlo neanche prima perché non si è verificato nessun rinnovamento degli stati e delle nazioni. Niente di niente è cambiato. Scrittori ed esperti di cinematografia si inventano qualcosa, ma non sono in grado di cambiare niente. La forza del cinema sta nel fatto che il cinema si rivolge ai vostri cuori e alle vostre emozioni. L’anima può ancora dare qualcosa.

 

La nave è una metafora per esprimere questi concetti?
Aleksandr Sokurov: Certo che è una metafora! Se si può scegliere tra la vita dell’uomo e la vita dell’arte, qual è più cara? Si può fare una scelta in base a un ordine, a un comando? Ognuno fa la sua scelta, pochi hanno sacrificato la propria vita per l’arte.

 

Quando nel film parla dello sguardo delle persone nei ritratti come riflesso dell’identità europea, anche a questo si riferisce il titolo?
Aleksandr Sokurov: Il titolo rispecchia il mio amore nei confronti della Francia, dei suoi ideali. I visi e gli occhi nella pittura ci permettono di capire chi siamo noi europei. Dobbiamo vedere più a fondo nel viso degli altri e nelle sue particolarità le cose che ci diversificano, e quale viso richiede un approccio più delicato rispetto alla nostra cultura. Bisogna rivolgersi alla cultura in modo più tenero rispetto agli approcci. Se la cultura viene distrutta non riuscirete mai a riprodurla. Per questo bisogna entrare nello sguardo dell’altro. In Russia amiamo la cultura europea. Proteggetevi e difendetevi con la vostra cultura.

 

Per gli attori, qual è stata la vostra esperienza con il regista?
Louis-Do de Lencquesaing: Ricordo che nella prima scena che ho girato ero in costume insieme a Benjamin Utzerath. Ero teso e Sokurov è stato l’unico regista che mi abbia massaggiato per dieci minuti le spalle prima di girare. Poi ci ha spiegato la scena in giardino con i bambini di un’altra epoca. Questo mi ha colpito, il fatto che mescoli tempi ed epoche per raccontare q21416-Francofonia_6_-_Johanna_Korthals_Altes__Vincent_Nemeth (1)ualcosa di eterno.

Johanna Korthals Altes: Quello che ho apprezzato di Aleksandr è che lavora con tempi moderni. Estrapola al massimo tutto ciò che può prendere dall’attuale per rendere in modo più vivido ciò che accade in scena.

Benjamin Utzerath: Dal primo giorno di riprese mi ha colpito il suo modo di girare. Il suo approccio al film ha aperto la mia persona e il mio modo di sentire anche quello che è venuto dopo. Provengo dal teatro e nemmeno lì c’è quest’approccio. Erano strati che si accumulavano e ciò ha fatto sì che il cuore dell’attore si schiudesse.

Vincent Nemeth: Il primo incontro con Sokurov è stato sorprendente. La prima cosa che mi ha detto quando ci siamo visti è stata: “Che impressione le fa interpretare Napoleone?” Io non ne sapevo nulla. Poi abbiamo parlato del personaggio e approfondito la questione. Durante le riprese si rivolgeva a me come se fossi davvero un imperatore, mi faceva domande sulla vita parigina e si aspettava che gli rispondessi in tono con il personaggio. Questo ricorda un po’ il metodo Stanislavskij. C’è stato quindi un approccio integrato con una grossa partecipazione individuale.

 

Per i produttori, cosa vi ha spinto ad appoggiare il progetto?
Pierre-Olivier Bardet: Con Aleksandr avevamo già prodotto Arca russa. Una collaborazione che risale a tredici anni fa. Sono nato subito dopo la guerra e i miei genitori sono stati segnati da questo evento. Sono quindi rimasto sorpreso dalla visione diversa del conflitto franco-tedesco che il film offre, perché proviene dalla Russia. Aleksandr ci ha insegnato qualcosa di nuovo sulla nostra storia.
Thomas Kufus: È il quinto film che faccio insieme a lui. La massima ambizione per un produttore è arrivare con Aleksandr a un risultato, concedergli quello che lui vorrebbe fare. E non è facile per problemi di carattere finanziario. Si tratta di una delle sfide maggiori per i produttori di film dell’Europa occidentale.

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