#Venezia72 – Gianluca e Massimiliano De Serio: “Fare cinema è andare al di là del pregiudizio.”

I fratelli De Serio presentano a Venezia, Fuori Concorso, il loro documentario sul Platz: la più grande baraccopoli d’Europa situata alle porte di Torino, recentemente smantellata.

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I fratelli De Serio presentano a Venezia, Fuori Concorso, il loro documentario sul Platz: la più grande baraccopoli d’Europa situata alle porte di Torino, recentemente smantellata. A presentare il film, oltre ai due registi, ci sono il produttore Alessandro Borrelli (La Sarraz Pictures) e Paola Malanga per Rai Cinema.

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Il Platz faceva già parte del vostro immaginario, visto che li erano ambientate alcune delle storie di Sette opere di misericordia, il vostro primo lungometraggio. Che cosa vi affascina di quel luogo?
Massimiliano De Serio: “Per prima cosa è situato vicino casa nostra e quindi ci passavamo accanto spesso. Abbiamo deciso che quel andava attraversato, conosciuto. Quando poi abbiamo saputo che il comune aveva deciso di smantellarlo abbiamo deciso immediatamente di fare il documentario ed abbiamo cominciare le riprese la sera successiva.

 

Perché avete sentito quest’urgenza?
Massimiliano De Serio: “Prima di tutto per conservarne la memoria, visto che si tratta pur sempre di un luogo unico in Europa, anche per le persone che avevano vissuto lì per oltre dieci anni. Anche per sottrarre questo luogo al pregiudizio. Per noi fare cinema significa andare al di là del pregiudizio che scaturisce dalle semplificazioni giornalistiche elaborate ad uso e consumo dell’opinione pubblica.”

 

Come è la produzione di questo film, e come è nato il sodalizio con La Sarraz Pictures?
Alessandro Bonelli: “Ormai con Massimo e Gianluca ci conosciamo e lavoriamo insieme da dieci anni. Si può dire che siamo cresciuti insieme visto che siamo anche coetanei. Io avevo visto dei loro corti e ne ero rimasto colpito quindi gli ho proposto di lavorare insieme. Poi c’è stata il lavoro difficile e gratificante per Sette opere di misericordia, Questo è stato certamente il lavoro più complicato da realizzare, perché è vero che loro anno immediatamente cominciato a girare solo con l’ausilio di una piccola camera digitale, ma mettere in pedi un film è un’altra cosa, quindi abbiamo fatto il patto di aspettarci per le varie fasi di realizzazione.”
Paola Malanga: “Il loro è un cinema d’immersione, praticamente hanno vissuto un anno e mezzo all’interno del campo, che si porta dietro un sguardo morale sulle cose. Non a caso la camera rimane sempre ad altezza d’uomo. Il loro esempio di cinema etico è già apprezzato in Europa e noi ci auguriamo che riceva gli stessi riconoscimenti anche da noi.

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