#Venezia72 – La terra trema: Storie sospese, di Stefano Chiantini (Giornate degli Autori)

Qualche vertigine in un film forse troppo dipendente da una sceneggiatura che appare didascalica e che troppo spesso resta sospeso nel vuoto. Un po’ come le storie che racconta

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Storie sospese in un paesino abruzzese. Come se il tempo si fosse per un attimo fermato. In attesa che qualcosa accada. La terra è una presenza costante in questo terzo lungometraggio per il cinema di Stefano Chiantini dopo L’amore non basta e Isole, teso alla continua interazione tra il luogo e le diverse storie tra i personaggi.

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mrco giallini e maya sansa in storie sospeseIl film, dedicato agli abitanti di Ripoli, ha come protagonista Thomas (Marco Giallini), un rocciatore che dopo la morte di un collega e amico, si ritrova disoccupato. Gli viene offerto un nuovo lavoro dal suo vecchio amico Ermanno (Antonio Gerardi) dove la sua ditta sta costruendo un nuovo tunnel per l’autostrada. Lì inizia a lavorare assieme a un giovane geologo, Alessandro (Alessandro Tiberi). Ma sul posto si rende conto con i giorni che questi lavori stanno causando dei gravi danni alle abitazioni. Tra coloro che sono a capo del movimento di protesta che vuole interrompere gli scavi ci sono il geometra Bucci (Giorgio Colangeli) e la maestra elementare Giovanna (Maya Sansa). A questo punto Thomas si trova davanti un bivio: far finta di niente o perdere il lavoro sicuro?

Storie sospese dimostra un fatto che sembra emergere in alcuni fim italiani di questi ultimi anni, e cioè che ci sono attori migliori dei film che si fanno. C’è una strana ipnosi del luogo che però non acquista la necessaria profondità proprio nelle scene sulla roccia, dove la verticalità non corrisponde alla vertigine. Si sente qualche impercettibile tensione (i massi che rotolano di sotto, l’incidente ad Alessandro) ma si ha l’impressione che Storie sospese sia troppo dipendente da una sceneggiatura che appare didascalica, che manda avanti anche più storie contemporaneamente ma che poi non trovano un’adeguata risoluzione. Eppure questo era un film che poteva avere tutti i presupposti per essere più libero. C’è un momento particolarmente riuscito con frammenti non dialogati (Thomas e Giovanna che stendono i panni, il geometra che fa ostinatamente i suoi rilievi) ma che poi s’interrompono presto. Come se la tesi da dimostrare diventasse di un’urgenza insopprimibile. C’è dentro la necessità, la voglia, ma non la forza della denuncia in un film che indovina il finale, capace di prendere i meglio dagli attori (oltre a Giallini, da ricordare soprattutto le prove di Giorgio Colangeli e Antonio Gerardi, il Di Pietro della serie tv 1992) ma che troppo spesso resta sospeso, a volte nel vuoto. Un po’ come le storie che racconta.

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