#Venezia72 – La legge della montagna: si apre con l’Everest in 3D

Il regista Baltasar Kormakur e un cast di prim’ordine hanno presentato l’atteso film d’apertura, che nel formato 3D racconta la drammatica spedizione del 1996

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Una sala stampa gremitissima ha accolto l’atteso film d’apertura del festival, Everest di Baltasar Kormákur. Oltre al regista islandese erano presenti gli attori principali del nutritissimo cast: Jason Clarke, Jake Gyllenhall, Josh Brolin, John Hawkes ed Emily Watson. Nelle prime file erano seduti anche alcuni sopravvissuti della spedizione del 1996 raccontata dal film.

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“L’idea era quella di fare un film corale”, sottolinea il regista. “Sono stati scritti molti libri su quello che è accaduto ma non mi interessava avere un punto di vista soggettivo di un personaggio rispetto a un altro. Volevo raccontare la storia di un gruppo con tutta una serie di dinamiche interne: il leader, la guida, il cliente, il competitor”.

In più occasioni regista e cast hanno ricordato la verità degli avvenimenti raccontati e la difficoltà di relazionarsi con personaggi esistiti e in alcuni casi ancora vivi. “C’è una grande responsabilità quando devi impersonare un personaggio reale che non c’è più. La famiglia di Scott mi ha contattato ed erano preoccupati del modo con cui avrei lo avrei ritratto. Io ho cercato un’energia e un’essenza” ha confessato Gyllenhaal. Uno degli elementi più interessanti del film è però proprio la mancanza di santificazione assoluta nei confronti di questi personaggi. “Non volevamo ripulirli troppo, ma mettere in risalto proprio la loro umanità. Sono persone vere che commettono errori e che vivono della passione del loro lavoro” dice il regista.

Everest è stato girato in 3D ricorrendo solo per alcune scene alla computer grafica. Alcune sequenze sono state realizzate nel campo base in cui si sono svolti gli eventi, a Khatmandu in Nepal e nella Val Senales alle Dolomiti. “Più di trae dalla realtà e più si riesce a ottenere il senso di realtà. Volevo dare allo spettatore le sensazione di essere lì sulla montagna, l’esperienza dello sforzo fisico, della fatica e della bellezza. In alcune situazioni ci siamo adattati anche a -60°, ma non abbiamo mai rischiato la vita e quando è diventato troppo pericoloso abbiamo finito il film in studio. Abbiamo però girato molto materiale in location reali perché volevo che gli attori assorbissero il sapore e gli spazi della natura. A suo modo Everest è un film esistenzialista”.

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