#Venezia72 – Madame Courage, di Merzak Allouache

Nella simbiosi tra attore e macchina da presa Madame Courage trova il suo senso, il suo respiro, il suo moto ondivago che sbatte di continuo insieme al protagonista che Allouache segue a distanza zero

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Omar entra nell’inquadratura squarciandola, uno sfregio nero sullo schermo diviso a metà. Con la stessa velocità riesce a strappare collane e borsette alle passanti, per poi fare rifornimento di madame courage, le pasticche di Artane che costituiscono la sua unica dieta. Raccolte in una bustina di plastica quasi sciolta, incollata al palmo della mano, con le dita che frugano nervose a rimestarne il contenuto.

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Figlio di un cane. Figlio del demonio. In effetti Omar ha il volto affilato del randagio, occhi e bocca semiaperti illuminati dal faro della sua moto, un ringhio continuo nella notte contro il viso a tratti estatico, la gola chiusa che rigetta il liquido appena bevuto, una due tre volte di seguito, e sorride. Sta tutto qui dopotutto il film di Allouache, addosso a questo demone senza pace, morto di sonno ma costretto alla veglia, che barcolla e si scontra con i muri e le persone, a scoprire una città notturna dai colori bruciati, i vestiti che ricadono sul suo scheletro flosci per poi gonfiarsi di vento durante le corse in moto. Ma è proprio in questa simbiosi tra attore e macchina da presa che il film trova il suo senso, il suo respiro, il suo moto ondivago che sbatte di continuo insieme ad Omar. La trama si sfalda tra uno sguardo e un pugno, le eplosioni di violenza rivelano ferite aperte, ma il dolore si dimentica con un’altra pastiglia, e di nuovo si corre  nella notte. Ma sopravvivono degli attimi di tenerezza, di sentimento, anzi sono proprio essi che mettono ordine in una trama ridotta a brandelli da mille morsi famelici: innamorarsi con uno sguardo, un amore idiota e ostinato, che porta Omar a dormire sotto la finestra della ragazza a cui ha rubato, e poi restituito una collana, nonostante i pugni e il freddo. E poi, difendere la sorella, costretta alla prostituzione dalla madre e sfigurata dal suo protettore. La lama nascosta sotto la felpa, tenuta tra le mani come una gravidanza, pronta a tagliare anche il volto della morte. Il vento non può toccarmi.

 

Allouache racconta tutto questo al grado zero, la camera a mano è quasi l’ombra di Omar, un suo prolungamento anch’esso impazzito e senza fiato, che travalica ogni ostacolo pur di stargli addosso. Nella notte, con un fumogeno che illumina il buio di rosso, Omar corre sotto la finestra della ragazza, un corpo folle e urlante, mentre noi gli volteggiamo intorno. È tutto qui, davvero.

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