#Venezia72 – The Fits, di Anna Rose Holmer
The Fits si svolge quasi interamente nei grandi ambienti di una palestra scolastica, ma la vera location dove tutto accade è il corpo stesso, luogo esplorabile che prende il posto della narrazione.
Sangue incrostato sulle labbra, polvere dorata sulle dita. Un’immagine di pochi secondi che regala però l’idea di un corpo estraneo, un qualcosa di fuori posto che si agita per emergere.
Toni è in un perenne altrove, scava il suo posto nell’ambiente che la circonda con il suo corpo, rigido nei pugni e flesso nei passi di danza. The Fits si svolge quasi interamente nei grandi ambienti di una palestra scolastica, ma la vera location dove tutto accade è il corpo stesso, luogo esplorabile che prende il posto della narrazione per rendere membrana lo svolgimento stesso del tempo. Ogni parete e superficie diviene percorribile da movimenti traboccanti energia, al punto da esplodere in convulsioni e spasmi. Vibrazione che attraversa e si espande di corpo in corpo, e nel suo percorso codifica e modifica nuove forme di aggregazione. Un evento traumatico diviene rito di passaggio da rifiutare o da cui lasciarsi travolgere. Toni è (re)spinta da un luogo all’altro, sospesa nell’impossibilità di prendere il controllo. Ma allo stesso tempo, vediamo anche un delicato ritratto d’adolescenza, lasciata libera di esprimersi con i suoi tempi, i suoi movimenti e i suoi silenzi. Anche il gesto di scrostare lo smalto dalle unghie o strappare dalla pelle un adesivo rimanda inevitabilmente a un continuo mutare epidermico, eliminare il proprio stato attuale per inserirsi in un ambiente in continuo mutamento. La tensione e la paura sovraccaricano il corpo, che diviene incomprensibile nei suoi gesti e solo dopo aver rinunciato al senso è finalmente libero, in totale abbandono. Must we choose to be slaves to gravity?