#Venezia73 – American Anarchist, di Charlie Siskel

Dopo essersi imbattuto nella storia di Vivian Meier, Charlie Siskel, per American Anarchist, decide di andare alla ricerca del fantasma dietro il maledetto The American Cookbook. Nel Fuori Concorso.

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Bill Powell è un vecchio insegnante di sostegno cha deciso di godersi la sua pensione, insieme all’amata moglie, In un isolato e remoto villaggio della campagna francese. A prima vista Powell sembrerebbe, con le sue camicie a mezze maniche e il suo sguardo stanco, solo un tranquillo signore alla ricerca di un po’ di tranquillità. E’ difficile immaginare che quest’uomo sia, davvero, l’autore di un libro maledetto da milioni di copie vendute, il famigerato The Anarchist Cookbook. Dopo essersi imbattuto, quasi per caso, nella storia impossibile di Vivian Meier, la fotografa dimenticata, Charlie Siskel, per il suo secondo documentario, American Anarchist, decide di andare alla ricerca di un altro fantasma, dissotterrando la storia sbagliata del famoso manuale del perfetto “bombarolo”. Pamphlet scritto alla fine degli anni sessanta, il cookbook nelle intenzioni del suo giovane autore, disgustato dalle violenze delle istituzioni, era solo uno sfogo virulento conto il governo e la polizia. La sua opera, invece, prese subito un’altra, nascosta, strada, diventando in qualche modo il fil rouge che collega la maggior parte delle stragi e degli attentati accaduti in America negli ultimi trent’anni.

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Messo di fronte al suo libro, trovato su Amazon con grandissima facilità, Powell si ritrova a confrontarsi con le proprie responsabilità d’autore, dilaniato dal desiderio di rivendicare la propria estraneità e dal rimorso naturale di chi, comunque, si sente coinvolto. Charlie Siskel veste con fatica i panni dell’inquisitore moralista, trasformando la sua intuizione iniziale (parlare di questo libro nero per riflettere sui rapporti tra autori, opere e pubblico) in un piatto esercizio di mestiere. American Anarchist, oltre ad appoggiarsi sulla curiosità per questa vicenda, non va oltre il didascalismo, trasmettendo il disorientamento di Powell al proprio pubblico. E’ lontana la calda e commovente empatia che ha spinto l’autore a ricostruire la vita nascosta della Meier. Gli unici sprazzi di quella sincera attenzione possono ritrovarsi solo in alcuni momenti, quando Powell si apre al suo intervistatore raccontando l’infanzia difficile, la sua rabbia adolescenziali e i continui problemi lavorativi. Molto poco per salvare la pellicola da un innocuo e scontato anonimato.

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