#Venezia73 – Boys in the Trees, di Nicholas Verso

Boys in the trees di Nicholas Verso è in concorso nella sezione Orizzonti del festival: una sequela di tentativi semifalliti di dipingere un’adolescenza al bivio con sfumature horror mal azzeccate.

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Halloween, 1997: due ragazzi, stretti in passato da una salda amicizia si ritrovano a condividere la notte di Ognissanti, tra morse che tentano di riportarli alla routine e slanci verso il recupero di qualcosa volutamente o candidamente ignorato. 

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Boys in the trees brilla di una luce satellitare. Confezionato come fac-simile della miriade di film Usa one night only, prova il sentiero della mescolanza di genere, tema intrinseco in una terra come l’Australia. Chi abita questo Teen drama con tinte horror, questo noir che si colora di macabri teschi messicani è Corey (Toby Wallace), un giovane fotografo in erba rinchiuso in una conventicola pronta a coprirgli le spalle. Probabilmente avverte il risucchio di un tornado che cerca di svegliarlo da un torpore adolescenziale che non solo l’ha murato in una personalità che non gli appartiene, ma che potrebbe ostacolargli l’ingresso a New York.

boys-in-the-treesSpogliato da problematiche amorose come Wallace (le conversazioni tra lui e la presunta fiamma sono un ping-pong infernale in cui l’età media raggiunge i settanta e si tentano virate di sceneggiatura da psicologia dei formaggini) è il personaggio di Gulliver McGrath, Jonah, certamente sfigato, certamente emarginato, che tuttavia sceglie quella notte per dipingersi il viso di contrasti e scontrarsi con un trauma ancestrale, unica chance di conservare una luce infantile spenta troppo presto.

Verso ha un passato come regista di videoclip . I tentativi di tramutare in immagine la ferocia, l’esilità, la passione dell’adolescenza svaniscono di fronte ad una ricerca di lucentezza, di patina opaca che, considerati i presupposti e l’epilogo della storia, è totalmente fuori luogo. Interessante potrebbe essere la ricerca di quelle venature gotiche supportate da inquadrature strette, che però vorrebbero suscitare un batticuore al contrario considerando che lo sguardo dello spettatore non respira mai in quello spazio spartano, non può emanciparsi dalla camera per vedere l’invisibile e il bello delle storie narrate da McGrath. I ragazzi si sono arrampicati sugli alberi perché qualcuno ha detto loro di farlo, perché una ragazza ha confessato di non tollerare la sua apertura rispetto ad un autoreclusione emotiva di Wallace, in quanto maschio, sia chiaro, perché qui siamo nel detto “tutta un’erba un fascio” tanto amato da autori annoiati dal tridimensionare una figura. Sembrano spinti a spaventarsi, a commuoversi, a impersonare caratteri alla Halloween (It) perché al servizio di personaggi levigati solo nella superficie.

Meglio conservarsi evangelici in giudizi o opinioni sul fantomatico colpo di scena, figlio de Il cacciatore di aquiloni, Noi siamo Infinito e tanti altri, giustificazione, calcio d’angolo patetico e francamente offensivo. Degna di nota è la sintonia tra gli interpreti protagonisti, slacciati da redini asfissianti.

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