#Venezia73- Francesco Munzi racconta il suo Assalto al cielo.

Francesco Munzi e il montatore Giuseppe Trepaccione sono a Venezia con Assalto al cielo, il documentario sugli anni di piombo, fuori concorso a Venezia.

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Francesco Munzi è al Lido con il documentario Assalto al cielo. Il film, realizzato esclusivamente con immagini di repertorio dell’Istituto Luce, racconta il periodo storico italiano che va dal 1967 al 1977, quello dei grandi movimenti studenteschi e operai.Volevo raccontare questo periodo storico da molto tempo, per interesse personale ma anche per ragioni biografiche. Nel ’68 non ero ancora nato e nel ’77 ero un bambino. Ma ho ricordi di quando con i compagni di classe si giocava nel cortile a guardie e terroristi. Questo fa capire quanto l’atmosfera di quei tempi fosse tangibile”.

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Il film, diviso in tre momenti, ripercorre quegli anni attraverso il montaggio serrato di immagini unite fra loro attraverso un attento lavoro di selezione: “Ho iniziato questo viaggio come una persona che voleva scoprire di più su quel particolare periodo – ha spiegato il regista – Io e Giuseppe (Trepiccione) abbiamo ordinato il materiale in ordine cronologico, scegliendo poi quello che ci sembrava più libero, più attivo, quello in cui erano presenti i suoni delle assemblee e le voci dei ragazzi. L’idea alla base di tutto è quella di voler raccontare il grande sentimento dell’epoca che pian piano si è dissolto”.

assalto al cielo francesco munziCiò che rimane impresso è il fatto che le immagini del film si susseguono fra di loro prive di una voce narrante, di un intervento a loro estraneo. Il montatore Giuseppe Trepiccione ha spiegato che la scelta principale è stata quella di dare la sensazione della presa diretta: “Via via che l’idea si andava raffinando abbiamo capito che il modo in cui ci interessava raccontare era quello di abbassare il punto di vista e portarlo fra i ragazzi. Nelle immagini che abbiamo scelto sono escluse le istituzioni, non appaiono i politici. Volevamo scendere in mezzo agli operai e agli studenti. Il materiale è volutamente non filtrato, perché ci interessava molto il rapporto empatico più che quello storico. La scelta di non inserire la voce narrante fa respirare il materiale e dovrebbe dare il senso di stare lì, in mezzo agli studenti”.

Pur trattando un periodo molto distante dalle nuove generazioni, il regista a spiegato che per lui era interessante l’idea di riattivare la coscienza sociale delle nuove generazioni e risvegliare la passione per la materia pubblica: ”Attraverso Volevamo entrare direttamente nel racconto dei giovani di allora, provando a dare il loro punto di vista che era quello di chi viveva la storia aspettando il mutamento epocale. Mi auguro che questo serva a ai giovani per osservare meglio un paese che è mutato, focalizzandosi sul sogno di una politica che può cambiare davvero“.

Da Little Tony al walzer di Strauss fino Freak Antoni degli Skiantos, l’uso della musica nel documentario del regista romano ricopre un ruolo fondamentale, esaltando il ritmo del montaggio e  le immagini. “La scelta delle musiche deriva da una precisa scelta: volevamo che il racconto emerso fosse antiretorico, per me unico modo davvero efficace di raccontare cinematograficamente” ha spiegato Trepiccione.

 

 

 

 

 

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