#Venezia73- Frantz – Incontro con François Ozon, Paula Beer e Pierre Niney

Il regista francese e i due protagonisti hanno presentato stamattina Frantz in concorso, tratto da una pièce teatrale di Maurice Rostand e già portato siullo schermo da Lubitsch nel 1932

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“Specchio fra due paesi”. Così il regista François Ozon ha definito il suo ultimo film Frantz, in concorso a Venezia. Tratto da una pièce teatrale di Maurice Rostand, la storia è ambientata dopo la Prima guerra mondiale ed era già stata portata sul grande schermo dal regista tedesco Ernst Lubitsch nel 1932 con L’uomo che ho ucciso. “La differenza fondamentale fra i due film”  ha raccontato il regista “è che tramite il personaggio di Anna io ho deciso di raccontare il punto di vista dei tedeschi, dei perdenti, e non quello dei francesi. Inoltre il film di Lubitsch è stato girato negli anni ’30, e quindi non è influenzato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nella pièce di Rostand invece era assente la depressione della protagonista e il  suo viaggio in Francia”.

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Coprodotto da Francia e Germania il film è recitato in due lingue: “Per me era fondamentale per rendere vero il film. Oggi come oggi il pubblico vuole questo, credo sia stanco della convenzione hollywoodiana dove tutti parlano con lo stesso accento”.

paula beer pierre niney frantzPer i due attori protagonisti non è stato facile recitare in una lingua straniera ma entrambi hanno affrontato volentieri la sfida,  felici di lavorare con Ozon:Sono stato lietissimo di scoprire il modo di dirigere di Francois” ha detto Pierre Niney “che è sempre presente sul set e attivo dietro la macchina da presa. Ho avuto difficoltà a imparare il tedesco e ho dovuto lavorare su ciò che poteva essere svelato e ciò che doveva restare nascosto. Ma tutto ciò è stato molto bello, anche il rapporto che si è creato con Paula”.  L’attrice tedesca Paula Beer, è stata trovata dal regista dopo aver cercato molte attrici tedesche che parlavano il francese: “Per me è stato davvero un piacere lavorare con Ozon che sa bene cosa vuole dagli attori ma al contempo lascia molta libertà. Il lavoro sulla lingua è stato difficile, perchè non è la mia, ma anche straordinario perché mi ha consentito di passare da un mondo all’altro, proprio come fa Anna, il mio personaggio. E tramite  i costumi e le scenografie mi sono calata molto facilmente nel suo contesto storico”.

Il regista ha deciso di sottolineare il contesto storico tramite l’uso del bianco e nero alternato però da scene di colori intensi: “Ho scelto di usare il bianco e nero perché tutti i nostri ricordi e le nostre immagini del passato provengono dagli archivi e dalle foto in bianco e nero, e quindi mi sembrava più di impatto. Ma amo molto anche il colore che è più emotivo e restituisce molto le sensazioni.” Il quadro di Manet Il suicida è una bellissima nota di colore nel film, a cui il regista ha scelto di dare particolare rilievo: “Il rosso del sangue sulla camicia bianca è un punto di colore intensissimo. Per me è un’immagine molto bella ma soprattutto forte e perfetta per raccontare il trauma dei giovani soldati”.

 

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