#Venezia73 – Maudite Poutine, di Karl Lemieux

Un’operazione fortemente curata concettualmente a cui manca però la costruzione di empatia con lo spettatore. In concorso ad Orizzonti.

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C’è qualcosa di disturbante in questo Maudite Poutine. Sicuramente lo sono le immagini in bianco e nero, gli insistenti rallenty, la natura rurale canadese. Ma soprattutto lo sono i suoni insistenti che passano dalla musica hard rock ai rumori forti, fastidiosi ma caratterizzanti. Lo stridio degli strumenti da lavoro, le percussioni delle bacchette che pigiano sulla batteria, l’insistenza della lama che distrugge ogni cosa. E’ indubbio che il regista Karl Lemieux abbia preferito concentrare tutta la frustrazione di due giovani ragazzi invischiati in problemi di malavita in queste atmosfere piuttosto che condensare tutto il film di dialoghi ed azione. Ci si rende conto di quanta dura sia la vita di due fratelli e del loro rapporto conflittuale, infatti, solo attraverso delle suggestioni audiovisive assolutamente interessanti ma forse ancora troppo deboli per la potenza del tema che si è andato a toccare.

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L’intreccio si sviluppa a partire da un furto di droga da parte di un giovane ragazzo che, trovandosi in difficoltà, si riavvicina al fratello anch’esso impegnato nello stesso mercato che lo ha ormai fagocitato. Le prospettive di una vita normale fatte di un lavoro a tempo pieno e dell’interesse per la musica sembrano le uniche vie di uscita da un percorso che sembra già segnato ma che forse permette qualche deviazione. Non c’è dunque solo la violenza dei clan che gestiscono lo spaccio da considerare ma anche delle situazioni personali e familiari che avrebbero avuto bisogno di una maggiore attenzione nella scrittura.

Allo spettatore, di fatto, non resta che guardare con distacco quello che succede sul grande schermo: l’empatia è assolutamente negata da tutto ciò che il regista ha fatto per dare alla narrazione elementi di disturbo. Cerebralmente si può apprezzare questo grande dispendio estetico e concettuale che si intuisce non essere fine a stesso ma quello che rimane a fine visione non è comunque sufficiente affinché rimanga quel sentimento di rabbia e frustrazione verso la vita che i protagonisti hanno cercato di manifestare per tutta la durata di Maudite Poutine.

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