#Venezia73 – Réparer les vivants, di Katell Quillévéré

Se fosse stato uno spot per la donazione degli organi avrebbe funzionzato benissimo. Purtroppo non è così. E i giochetti stilistici della cineasta finiscono per diventare ricattatori. In Orizzonti

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Poteva essere un documentatrio sulla donazione degli organi. Non sarebbe mancato nulla. A Réparer les vivants come spot non sarebbe mancato nulla. Come l’operazione a cuore aperto e la musica di sottofondo, primi piani e sorrisi finali. Solo che il quarto lungometraggio della trentaseienne Katell Quillévéré dura invece 104 minuti e, pur essendo supportata da un cast di cui fanno parte, tra gli altri, Tahar Rahin, Emmanuelle Seigner e Anne Dorval, ne sfrutta al minimo le potenzialità.

Claire/Simon. Due esistenze parallele. Come in un film spezzato a metà che racconta le due vicende come se fossero separate. Da una parte c’è il ragazzo che, dopo una giornata trascorsa con il surf, ha un incidente di macchina con i suoi due amici. Lui ha peggio e viene tenuto in vita attraverso un respiratore artificiale. Dall’altra invece la donna, madre di dure figli che ha una relazione con una pianista più giovane di lei, è in attesa di un trapianto.

tahar rahim réparer les vivants

La partenza è promettente, soprattutto nelle luci dell’alba e le riprese in mare. Ma i giochetti furbi della cineasta iniziano ben presto con i ralenti, trasforma soggettivamente l’asfalto della strada nel mare prima del fragore del botto. La fisicità, con la macchina a spalla, è solo apparente. Réparer les vivants tiene insieme troppi personaggi senza che questi abbiano un reale approfondimento, si serve di giochetti ricattatori come il fantasma del ragazzo davanti alla coetanea con cui aveva una relazione, si sofferma sui dettagli degli occhi per far trasparire soddisfazione o dolore. Quasi scopiazzature alla Dolan. E non è solo per Anne Dorval.

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