#Venezia73 – Une vie – Incontro con Stéphane Brizé e il cast

Incontro con il regista, il cast e i produttori di Une vie, in concorso a Venezia 73. La vicenda di una donna costellata di ordinario ed extraordinario.

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Stéphane Brizé con Une vie, è per la prima volta in concorso al Festival di Venezia. Il regista, vincitore del premio César per la migliore sceneggiatura non originale per Mademoiselle Chambon, torna all’adattamento, nonché alla regia, del romanzo di Guy de Maupassant dal titolo omonimo. La vicenda tratta di Jeanne, Judith Chemla, una fanciulla vissuta a cavallo tra il  XVIII e XIX secolo in Normandia e le vicessitudini  di un’intera vita densa di eventi sia straordinari che giornalieri. E’ proprio su quest’ultimo punto che Brizé si sofferma durante l’incontro, sottolineando come proprio l’elemento di routine serva a catturare l’anima del personaggio: “Ho cercato di rappresentare la vita di Jeanne e, sapendo parlare solo di me stesso, condividevo con lei uno sguardo che che cattura il semplice, mentre l’esistenza  è molto più violenta. Il cinismo è una forma di aggressione e il ruolo della protagonista non può percorre quella strada. E’ al contempo bello e tragico”.

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Judith Chemla Une vieA proposito della sceneggiatura,  la co-autrice Florence Vignon evidenzia il processo di lavorazione lungo ed elaborato, l’aggiunta di elementi come il flashback, possibili solo grazie al montaggio complesso e il lavoro degli interpreti che infondono un soffio vitale impossibile da riportare nella sola scrittura. “Mentre si girava, ho avuto l’intuizione di non mostrare in modo violento certe immagini. Si sono verificati eventi che hanno irrobustito la storia scritta, di per sè già corposa”. Inoltre Il formato in 4:3 evidenzia per il regista la gabbia nella quale Jeanne è rinchiusa e la ripresa spesso di profilo o di tre quarti permette allo spettatore di approcciarsi a ciò che vede, potendo entrare in contatto emozionale, ma pure formandosi una propria visione filmica.

Judith Chemla, Swann Arlaud Une vieIl personaggio di Jeanne conduce una vita abbandonata nell’infanzia, in un paradiso vicino alla terra che lei stessa coltiva con zelo ed è profondamente legata ad un concetto di verità e candore che gli altri non riescono a manifestare. “Stephane mi ha dato uno spazio infinito. Mi ha detto di voler filmare il mio rapporto cone le cose. Ad un certo punto ho dimenticato di essere ripresa” afferma la Chemla. Yolande Moreau e Jean-Pierre Darroussin spiegano il loro ruolo di genitori, la prima  apprezzando la contaminazione della “normalita” che avvvolge anche il suo ruolo, nonché il modo in cui questa concepisce la vita; il secondo ha notato come entrambi i caratteri siano lontani dal cliché dei genitori di quell’epoca e, in particolare la modernità del padre, figlio della rivoluzione e dell’epoca dei lumi.

All’incontro sono stati presenti anche i produttori della pellicola, Poylo e Sacuto. “La cosa che ci interessava era il rapporto rispetto all’infanzia, il passaggio verso l’età adulta, la maturità. Grandiosa è l’abilità di Stephane di raggruppare anche quello che nella vita non è infantile e in particolare il modo che i genitori hanno di concedere ai figli i mezzi per affrontare il futuro dichiara Sacuto, mente Poylo riflette, a buon ragione, sull’attualità del film nel rappresentare l’ostacolo di un’educazione che nell’amorevolezza deve esigere anche la rigidità.

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