#Venezia74 – Nico, 1988, di Susanna Nicchiarelli

Apre Orizzonti un film dalla sincerità che cattura, quella fragilità sfacciata di chi ha messo il cuore in ogni azzardo, con tutto il magnetismo oscuro del repertorio del periodo solista di Nico

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In uno straordinario scritto per il Village Voice del 1979, The White Noise Supremacists, Lester Bangs fa il punto su alcune tendenze di spacconaggine pseudo-nazi-razzista nell’ambiente musicale soprattutto new wave, proprio quella scena che aveva deciso di accogliere Nico nel suo percorso da solista, con gli album in larga parte clamorosi realizzati in complicità con John Cale, Brian Eno, Phil Manzanera. Tra i riferimenti principali, Bangs utilizza la versione agghiacciante dell’inno tedesco che Nico inserisce in chiusura di The End, album del 1974 (lo scrittore racconta di una versione dal vivo dell’inno, durante una performance della musicista al CBGB’s di New York).
Ecco, l’aspetto più sorprendente del lavoro di Susanna Nicchiarelli è la maniera con cui affronta l’ambiguità ideologica, e questa sorta di nazionalismo in misura inconsapevole, che facevano parte del carattere di Christa Päffgen: nel rapporto tra distacco e tenerezza con il manager inglese Richard (“l’avvocato ebreo”), nelle memorie di guerra della Berlino bombardata, o nelle reazioni impazzite in concomitanza delle esibizioni nei Paesi del blocco sovietico, Nicchiarelli esplicita quella stessa tensione non riconciliata nei confronti del Passato e dei propri demoni interiori, che ritrovi poi traslata in maniera così potente e disturbante nella produzione musicale di Nico del periodo.

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Il pretesto è raccontare il tour dell’86-88 della musicista, in un on the road spezzato da brevissimi istanti di repertorio dall’Exploding Plastic Inevitable, lo show multimediale ideato da Warhol con i Velvet Underground vent’anni prima, un viaggio per l’Europa presto trasformato in una sorta di percorso di presa di coscienza riguardo alla complessa relazione irrisolta con il figlio Ari.
La regista ha mano felice nelle ricostruzioni di questa tournée in hotel scalcinati, locali di periferia, centri sociali, piazze di paese (Anzio!), in cui Nico condivide la propria passione per gli stupefacenti con la giovane band di musicisti che le viene messa a disposizione, di cui seguiamo anche amori e estemporanee vicende. Fortunatamente, il racconto non assume mai il piglio spensierato del biopic musicale “su di giri”, ma mantiene la tonalità oscura del repertorio del periodo Marble Index/Desertshore – giovano parecchio i riusciti frammenti musicali con la riproposizione di brani non scontati di Nico (Janitor of Lunacy, My only child… l’unico istante reediano è una All tomorrow’s parties) nei fascinosi arrangiamenti di Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, dove l’interprete Trine Dyrholm ha modo di donare la propria voce alle canzoni.

E’ indubbio infatti che una grande parte del magnetismo inaspettato del film sia merito dell’attrice, in grado di restituire un ritratto inedito dell’icona “maledetta”, molto lontano da quello della femme fatale bionda della Factory. Nicchiarelli semina nell’opera confessioni e riflessioni della donna attraverso espedienti come interviste radiofoniche, o improvvise aperture in istanti di intimità (come la cena a casa del fan romano Thomas Trabacchi), un po’ alla maniera dell’Amalric regista: chiaramente, non ne possiede la complessità teorica e lo sguardo stratificato, ma Nico, 1988 rivela, anche quando troppo appesantito da alcuni passaggi un po’ contriti (come l’ennesimo tentato suicidio di Ari), una sincerità che cattura, quella fragilità sfacciata di chi ha messo il cuore in ogni azzardo.

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