#Venezia74 – Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh

Martin McDonagh continua il suo viaggio celebrativo nel cinema americano. Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, però, trova una strada personale. Im Concorso.

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Durante una notte come tutte le altre, la tranquillità ostentata di Ebbing, cittadina del Missouri, è squarciata dall’apparizione di un vero e proprio atto di guerra. Su una strada provinciale quasi abbandonata, tre enormi cartelloni pubblicitari lanciano, infatti, un grido: Raped while dying and still no arrests? How come, Chief Willoughby? L’intera città è costretta a fare i conti con la propria coscienza, assistendo alla guerra civile tra Mildred Hayes, madre spezzata ma non sconfitta di una figlia assassinata e l’intero corpo di polizia, guidato dal rispettato sceriffo Willoughby.

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Martin McDonagh continua il suo viaggio celebrativo nel cinema americano degli anni novanta. Dopo aver saccheggiato Tarantino con 7 psicopatici, il regista inglese affronta la tappa Coen, spostandosi nei territori neri dei fratelli di St. Louis Park. McDonagh, a differenza del suo film precedente (che scontava un’eccessiva voglia di emulazione) trova l’equilibrio giusto tra l’omaggio appassionato e la rilettura indipendente. Al di là dei chiari riferimenti ai registi di Fargo (il volto di Frances McDormand, le splendide musiche di Carter Burwell) Three Billboards Outside Ebbing, Missouri trova una strada personalissima in una trama che, prima di confermarsi black comedy, si dimostra il racconto di un dolore cristallino. La rabbia infinita di Mildred, la sua ossessiva sete di giustizia e di speranza, diventa il nucleo su cui il regista costruisce l’impalcatura emotiva di un film dove la risata e la battuta sarcastica sono i primi appariscenti strati di una sofferenza vibrante e universale. I conflitti, anche virulenti, che dividono l’agguerrita protagonista contro i suoi “antagonisti” (il sofferente sceriffo, il rabbioso ex-marito, l’infantile agente Dixon), pur segnati da un rancore manifesto, sono continuamente attraversati da attimi di vicinanza, da gesti di solidarietà. Sono tutte vertigini, sempre coerenti, che aprono sguardi commoventi in un passato accennato, in rapporti umani incrinati ma mai davvero spezzati.

E’ cosi che, soprattutto nell’accesa diatriba tra Mildred e Willoughby, motore iniziale della storia, si ritrova il vero senso della battaglia della protagonista. Tutta la città conosce il dolore della donna, lo comprende, lo sente vicino ma non è tollerabile vederselo sbattere in faccia, essere costretti a ricordarlo costantemente. Il buon sceriffo, realmente mortificato per non essere riuscito a trovare il colpevole dell’atroce delitto, diventa così il simbolo di una società che ha accettato le debolezze e le inadeguatezze, interessato a impegnarsi egoisticamente sui propri problemi che sobbarcarsi i pesi degli altri.

harrelsonCome sineddoche di tutto ciò, anche per il suo ruolo, Willoughby non può non essere considerato il bersaglio perfetto per la rabbia di una donna che non è disposta a rinunciare, che non vuole rassegnarsi. Il legame tra i due “avversari”, oltre a regalare ottimo materiale per la sfida recitativa tra due incredibili McDormand e Harrelson, è il metro morale ed emotivo con cui l’autore misura le distanze tra tutti i personaggi, pur su posizioni opposte, mai davvero troppo lontani per scambiarsi uno sguardo commosso d’intesa.

McDonagh, consapevole della sua bravura nella scrittura, è autore innamorato dei propri dialoghi. Mai come questa volta, però il fiume verboso che di solito attraversa i suoi film è arginato dal bisogno di rimanere incollato sul vero cuore dei suoi personaggi. L’autoreferenzialità esibita dalla battuta sagacemente volgare, sullo scambio elettrico e cinico, anche se usato con la solita generosità, diventa davvero funzionale alla storia. L’anticlimax comico è l’ideale riflesso dei percorsi dei personaggi, tutti inseriti in questa commovente escalation sentimentale che ci guida con misura verso un finale perfetto, dove ogni parola è usata nel modo giusto. Three Billboards è un’opera sorprendentemente misurata e sincera che apre una vita artistica per un autore finalmente libero di esprimere, senza condizionamenti cinefili, pienamente una personale e straziante poetica.

 

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