#Venezia75 – Camorra, di Francesco Patierno

Costruito interamente con found footage, il documentario cerca di mettere assieme i pezzi ritrovati di un passato, per cambiare l’idea del presente e il futuro. Con la voce di Meg. In Sconfini

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“Napoli non è tenera”. “Napoli non è una città ribelle”. “Napoli non è la Camorra“. Allora, cosa è Napoli? Ciò che non vuole essere? La voce senza viso della cantante napoletana Meg – anche autrice della colonna sonora – guida la narrazione che unisce i pezzi frammentati di Camorra di Francesco Patierno – presentato nella sezione Sconfini di Venezia 75, utilizzando la auto-negazione come forma di definizione, nella ricerca di un senso. Nel frattempo, si susseguono immagini di archivio di una città organica e in costante rivalutazione di se stessa, che si trasformano in una affermazione, prova visiva e irrefutabile di un passato che si confonde con la finzione e con il presente. I pezzi raggiungono un ritmo, una certa unità  e la domanda iniziale comincia anche a permutare. Cosa è Camorra, dove vuole arrivare? È spinto il film da una volontà rassicurante? È alla ricerca di una definizione, oppure dalla volontà di cancellare un’idea per scriverne un’altra sopra? 

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Costruito interamente con found footage e immagini di Rai Teche e dell’archivio Riccardo Carbone, sempre attraverso il punto di vista giornalistico, Camorra racconta a modo di cronaca la storia dell’organizzazione – dagli anni sessanta all’inizio degli anni 90 – e come questo fenomeno ha condizionato il modus operandi della città attraverso gli anni, così come la costruzione – oppure l’illusione – di un senso d’identità. Il contrabbando del dopoguerra, l’avvento del boss Raffaele Cutolo e la costituzione della NCO (la Nuova Camorra Organizzata), il rapimento dell’assessore Ciro Cirillo dalle Brigate Rosse. I fatti storici, di cronaca, parte anche della storia ufficiale di una città e di un paese, si alternano con la narrazione del “popolo”, dei cittadini, con la voce che viene dalla strada, con i soliti sospetti, gli incappucciati che mostrano la faccia e raccontano davanti alle telecamere, con assoluta naturalità, un modo di vita che non è una scelta, ma soltanto sopravvivenza. 

Seguendo il modus operandi dei suoi lavori documentari precedenti – La Guerra dei

vulcani Naples 44 Patierno mette insieme i pezzi ritrovati di un passato, per cambiare l’idea del presente, fidandosi del potere dell’archivio come l’unica via possibile di narrazione, per raggiungere una certezza, forse un pezzo di verità. Il distacco temporale e l’acceso fuori tempo, quel materiale sopravvivente su cui non si può più intervenire, che resiste agli anni e sceglie un nuovo tempo per manifestarsi, che anche se rimane integro nella sua individualità acquista un altro significato quando passa a formar parte di un tutto, di un montaggio nuovo, di una narrazione collettiva. Questa materia d’apparenza inorganica e ferma, questi pezzi d’archeologia che rischiano di diventare fossili, diventano particelle elementari per rendere viva un’idea di mondo. 

Allora, cosa non è Camorra? Non è soltanto un affresco di un fenomeno, la cronaca di un’epoca, un documentario su un processo storico, un momento, un luogo in particolare. Almeno, non si ferma lì. È anche la costruzione di un discorso che unifichi, attraverso pezzi scomparsi e ritrovati, un’idea in comune, o almeno la scelta di un punto di vista, una narrazione che porti consenso su un fenomeno che per anni è stato definito dagli occhi degli altri. E pure un’altra prova di come la narrazione della storia umana sia fatta di tante tracce diverse – una di queste il racconto dei media – che avanzano in forma parallela, coesistendo nella stessa dimensione, forse senza essere viste da tutti, forse senza incrociarsi mai.

Il fulcro cinematografico si trova nella capacità di creare – attraverso un meccanismo documentaristico, una registrazione di voce appena percettibile, un’immagine sporca e sfocata, il pezzo ritrovato di una brutale realtà – una sorta di fantasia, una favola nera, il “c’era una volta” di un regno conquistato che ancora si difende, che si nasconde dietro i forti e sulle colline e poi decide di togliersi il cappuccio, che lentamente si affaccia per aprire il cancello e lasciarsi vedere non soltanto com’è, ma come vuole essere. Senza sapere, però, se quelli che aspettano dall’altro lato del cancello finiranno per essere nemici o alleati. 

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