#Venezia75 – Friedkin Uncut, di Francesco Zippel

Un lavoro curatissimo, attento ai dettagli, che mostra tutto il profondo e il tempo della ricerca che ci stanno dietro. Con una passione autentica per il cinema di Friedkin. Venezia Classici

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William Friedkin a 360°. Il bene e il male. Hitler e Gesù che sono i due personaggi più interessanti della storia dell’umanità. Poi preparazione del set in casa con il regista Francesco Zippel per un attimo di spalle. Forse piccolo stacco/voce da tagliare ma solo perché personalmente si tende a un documentario totalmente integrale. Ma Friedkin Uncut è un lavoro curatissimo, estremamente attento ai dettagli, che mostra tutto il profondo e il tempo della ricerca che ci stanno dietro. Vengono ripercorse alcune delle fasi più importanti della carriera del cineasta statunitense. Dall’impatto de L’esorcista per molti registi come Wes Anderson (“Ci vivi dentro”), Walter Hill (determinante per il cinema horror come Star Wars per quello di fantascienza) e Quentin Tarantino (che ricordava le file interminabili davanti ai cinema che lo proiettavano) al realismo di Il braccio violento della legge con la famosa scena dell’inseguimento girata in mezzo alle auto e le persone reali. “Se avessi sgomberato le strade – sottolinea Friedkin – non sarebbe stata New York”.

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Si comincia da The People vs. Paul Crump, il suo documentario del 1962 che aveva salvato la vita a un uomo condannato a morte, passando poi per il flop di Il salario della paura (dove doveva esserci Steve McQueen), le polemiche per Cruising, Vivere e morire a Los Angeles con la macchina da presa riflessa su una macchina fino agli ultimi Bug e Killer Joe definiti come la fase giapponese del suo cinema.

Friedkin è inarrestabile. Non sembra esserci distanza quando viene inquadrato. Il suo flusso si trasforma in un racconto autobiografico. Che emerge dalla sua abitazione, i quadri di valore (come un Corot o i disegni di Ėjzenštejn), ai modelli cinematografici come Quarto potere (il film che lo ha spinto a fare il regista quando aveva 21 anni), a Costa-Gavras (“Z – L’orgia del potere è il film che mi ha fatto capire che era possibile girare una storia di fantasia con uno stile documentaristico”) fino a Fellini, Antonioni e Lang; il maestro tedesco di Metropolis e M era stato intervistato proprio da Friedkin nel 1975 in cui gli ha confessato che aveva girato i suoi film con ‘una sicurezza da sonnambulo’.

Il documentario di Zippel si avvale di numerose altre testimonianze – tra cui Francis Ford Coppola, Philip Kaufman, Damien Chazelle, Edgar Wright, Juno Temple, Matthew McConaughey, Dario Argento e Antonio Monda – e in ogni testimonianza sembra di vedere la scena che li ha visti vicini al regista. Che canta Singing in the Rain e La Marsigliese e lascia emergere, anche attraverso il racconto del grande direttore della fotografia Caleb Deschanel, tracce del suo metodo come i pochissimi ciak con gli attori. La sua idea dei concorsi dei festival (“non permetto ai miei film di partecipare ad alcun tipo di competizione”) e i tre elementi determinanti per una ricetta che non c’è: ambizione, fortuna e…grazia di Dio.

Non c’è solo una documentazione notevole ma anche una passione autentica per il cinema di Friedkin. Che il documentario di Zippel, intelligentemente, non esibisce, ma lascia emergere attraverso le parole degli altri.

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