#Venezia75 – Saremo giovani e bellissimi, di Letizia Lamartire

Esordendo nel lungo, alla Settimana della Critica, Lamartire gioca con una coreografia che lambisce i territori di un’ambiguità madre-figlio che le immagini si rifiutano di chiarire del tutto

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Per il suo esordio nel lungometraggio, Letizia Lamartire rimane focalizzata sui rapporti genitori-figli che già caratterizzavano i suoi corti come Il nostro segreto o Piccole italiane, quest’ultimo visto proprio alla SiC nella scorsa edizione. Cresce però l’età della prole, lì si trattava di bambine mentre il Bruno di Saremo giovani e bellissimi (Alessandro Piavani) è nei suoi vent’anni di disperata e vitale creatività in cameretta, dove con chitarre, tastiere e pc cerca di comporre musica originale che, forse, lo rappresenti un po’ di più del repertorio di disco new wave all’italiana in cui si cimenta quando accompagna la madre Isabella (Barbora Bobulova, in un ruolo che sembra quasi riprendere quello della cantante di I’m, sempre al Lido un anno fa).
La donna, un passato di meteora del pop per un’estate intera grazie ad un singolo rimasto nella memoria collettiva, si ostina a mantenere delle date fisse in un locale che fa musica dal vivo, ma la sala resta puntualmente semivuota. Bruno però ha del talento, e forse è giunto per lui il momento di abbandonare il revival eighties della madre per inseguire il suo sogno da musicista con una band che sta per incidere un disco a Londra, guidata dalla fascinosa Arianna (Federica Sabatini).

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Ovviamente, il tema qui è la gelosia di una madre, una nuova dolente donna musicista nel cinema italiano al Lido dopo la fortunata Nico del 2017: Isabella, però, è anche una sorta di amante possessiva. Lamartire di fatto setta gli elementi e poi li lascia scontrarsi tra di loro, in modo da raccontare la reazione puntualmente imprevedibile della scheggia impazzita Isabella, il personaggio su cui si regge l’impalcatura nervosa del film, un armamentario che sembra più di una volta voler dare forma proprio allo scompiglio interiore della donna, a partire già dall’arredamento ultra-caratterizzato dell’appartamento dove lei vive col figlio, il set principale della vicenda.
E’ fondamentalmente tra quelle mura che Lamartire mette in gioco i corpi di Isabella e Bruno in una coreografia che lambisce i territori di un’ambiguità che le immagini si rifiutano di chiarire del tutto, una morbosità nello sfiorarsi e nell’accarezzarsi che il film lascia respirare senza portare mai l’incestuosa provocazione all’estremo.

Il resto dell’impalcatura non riesce malauguratamente, tolto l’innamoramento tra Bruno e Arianna la chitarrista indie, a reggere l’elettricità che circola tra i due interpreti principali, disperdendosi in una serie di rivoli – la nonna che cerca di recuperare il rapporto con Isabella pur essendo stata rigidissima con lei in gioventù, la vecchia fiamma ora proprietario del locale di fiducia della nostra ex-popstar, e ancora il nuovo probabile amore della donna, Umberto (Massimiliano Gallo) – che rischiano di girare un po’ troppo a vuoto.
Lo sguardo di Lamartire, diploma di Conservatorio, ha probabilmente ancora bisogno di un’ulteriore confidenza con il potere musicale delle immagini per poterle lasciare circolare del tutto, ma i primi piani di Bobulova di cui il film è puntellato riescono da soli a schiudere tanti piccoli, magnetici abissi.

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