#Venezia75 – Una vida suprema. Incontro con Emir Kusturica e Pepe Mujica

Per presentare il film El Pepe. Una vida suprema, Emir Kusturica incontra la stampa insieme a Pepe Mujica, ex presidente uruguaiano, modello inarrivabile di umiltà ed onestà

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La conferenza stampa del film di Emir Kusturica, El Pepe. Una vida suprema, un documentario che è stato realizzato centrando l’attenzione sulla figura di Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, si trasforma immediatamente, e forse anche prevedibilmente, in un dibattito politico, che proprio dalle parole dell’ex Capo di Stato, presente al fianco del regista, viene spostato verso un livello insolito di profondità che rispecchia perfettamente l’adesione dell’uomo agli ideali che l’hanno reso un modello di correttezza ed umiltà. Innanzitutto Mujica spiega la sua presenza al Lido al fianco di quello che è un amico, e sottolinea che il suo mondo è un altro, non migliore o peggiore, soltanto un altro. Poi in risposta dei problemi che il suo paese ed in generale i paesi sudamericani ed africani soffrono Mujica si esprime così: “Verso questi problemi nutro una preoccupazione doppia, sono cosciente della società patriarcale e delle sue conseguenze e sono anche cosciente della presenza di una divisione per classi sociali, con le donne, che devono affrontare la maternità e la povertà. Queste madri povere ed abbandonate hanno moltissime difficoltà. Vorrei che il femminismo non dimenticasse di guardare alle classi sociali ed alla base dove si annidano i maggiori problemi.”

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Per girare e montare questo documentario c’è stato bisogno di lavorare per quattro anni, un tempo molto ampio, e la scelta di far cadere l’attenzione su Mujica deriva dall’aver trovato in lui qualcosa che è molto raro incontrare di questi tempi nella classe politica cioè una coincidenza tra l’essere e l’apparire, un’etica di vita che rispetta il suo modo di pensare. Un incontro quello tra il regista bosniaco, naturalizzato serbo, ed il politico che cerca di unire nel progetto l’estetica ed il contenuto. Per spiegarlo anche Kusturica parte molto largo, investendo campi solo apparentemente lontani tra loro: “L’obiettivo ultimo della mia vita è quello di essere libero, credo di essere una delle persone più privilegiate al mondo. Se non fossi riuscito a completare questo progetto avrei probabilmente cambiato soggetto, ma comunque quando ho sentito la prima volta le sue idee mi sono immediatamente interessato. Da una parte abbiamo un mondo che dopo la caduta dell’Unione Sovietica si è ritrovato ad assaporare il capitalismo, dall’altra un uomo che ha destinato il 70% delle sue risorse alle persone meno abbienti ed è riuscito a diminuire la povertà. Avendo avuto la possibilità di cominciare a girare nell’ultima fase della sua presidenza, ho avuto la possibilità di vedere delle cose che altrimenti mai avrei potuto vedere e di mostrarle. Avere l’opportunità di seguirlo ed ascolarlo è un’esperienza che tutti dovrebbero avere. Lui è uno dei pochi esempi di politico amato, bisogna essere carismatici ed onesti per raggiungere un obiettivo socialista.” La personalità ed il carattere della persona Pepe Mujica secondo Kusturica sono la cosa più importante per quelli che credono nella responsabilità, con le aspettative che non possono essere disattese, come è solito fare la classe politica occidentale, appena raggiunto il potere. Poi il regista riferendosi al fenomeno migratorio parla di un evento che nella storia si è continuamente ripetuto, senza che si ci interroghi mai bene sulle cause che scatenano queste crisi, come ad esempio la guerra in Libia scatenata dalla Francia insieme ad Inghilterra e Stati Uniti che ha destabilizzato ulteriormente un’area già incandescente.

Le domande rivolte al presidente Mujica sono tantissime, tutte dense di preoccupazioni per i popoli ed i paesi oppressi, una richiesta di opinioni ed anche di consigli o soluzioni, che lui ammette di non avere, ma di possedere in compenso molta fiducia nei popoli, malgrado il potere da cui sono afflitti. Popoli che avrebbero bisogno di aiuto, che a volte si materializza sotto forma di qualcosa di cui si farebbe volentieri a meno. Ricorda come l’America storicamente sia stata una terra che ha ricevuto tanti poveri e come in generale la parte ricca del mondo debbe cominciare a capire di avere delle responsabilità verso la parte più povera, che la globalizzazione è una realtà da cui non si prescinde, che le nuove generazioni vanno incontro al pericolo di un olocausto ecologico. “In realtà credo sia importante rispettare le ferite profonde, certi argomenti sono così importanti che per essere affrontati avrebbero bisogno di più tempo e di un contesto diverso. Si dovrebbe parlare di cosa è successo in Africa, dove sono stati commessi degli errori madornali, tutto quello che abbiamo viene dalle tradizioni africane, loro sono stati costretti a lavorare la terra in posti diversi. Le nuove generazioni devono capire queste cose. Le donne africane fanno 5/6 figli, bisogna aiutarle, portare l’acqua, per cui sono costrette a camminare chilometri, siamo in debito con loro per i danni fatti. Devono sapere che l’Europa è in grado di preparare un Piano Marshall per l’Africa, è una scommessa che deve fare, altrimenti le conseguenze possono essere imprevedibili. Nonostante il cimitero del Mediterraneo sia molto grande, le donne africane sono più forti.” Per concludere con quella che è la sua filosofia di vita: “La mia è una scelta, io non sono povero, ho semplicemente pochi impegni economici per vivere, con troppi impegni la vita se ne va, bisogna dedicarsi agli affetti, le cose vivaci danno affetto. La libertà ce l’abbiamo dentro la testa.”

 

 

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