#Venezia76 – 5 è il numero perfetto: rileggiamo il graphic novel di Igort

In attesa di vedere la trasposizione filmica ad opera dello stesso Igort, alle Giornate degli Autori, torniamo su uno dei capolavori della storia del fumetto italiano

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“Sprecare la vita è un’arte nella quale sino a oggi sono stato un vero maestro. Una cosa imperdonabile. Torno a vedere cosa è diventata oggi la città che ho lasciato quando ero ancora un ragazzo”.

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Non deve poi essere stato troppo differente da quello del suo personaggio il sentimento che ha spinto Igort a disegnare le tavole di 5 è il numero perfetto, uno dei grandi capolavori della storia del fumetto italiano e internazionale e la cui trasposizione cinematografica, diretta dallo stesso Igort, sarà presentata a Venezia in concorso alle Giornate degli Autori.
Quella che ci apprestiamo a vedere nelle nostre sale è una storia innanzitutto di ritorni: a vecchie vite, a vecchie carriere, vecchi amori e vecchi posti. Il fumettista sardo, durante la sua permanenza a Tokyo negli anni 90, inizia la stesura dell’opera che vede la luce solo dieci anni dopo a seguito di numerose rielaborazioni e riscritture. Dopo tanto tempo immerso in una cultura così lontana, sente l’esigenza di raccontare una storia che parli delle sue radici e lo fa con quel mix di lucido distacco, nostalgia e presa di coscienza che solo il prolungato “esilio” culturale può conferire.
5 è il numero perfetto è quindi un virtuoso esempio di fumetto italiano che pone al centro del suo impianto narrativo una città iconograficamente riconoscibile al grande pubblico internazionale come Napoli e la sua “napolitanità”.

A cominciare dalla scelta del volto aquilino e grottesco di Peppino Lo Cicero, il protagonista della storia, tutto nel graphic novel parla attraverso maschere, che sono il grande topos ricorrente della cultura partenopea, dalla commedia dell’arte fino alla tradizione teatrale di De Filippo e Totò.
La Napoli che Igort affresca è una Napoli volutamente lontanissima da quella già presente nell’immaginario collettivo perché ha in sé il seme della riscoperta. Le strade, perlopiù buie e piovose, si colorano di cartelloni pubblicitari di brand da Carosello, riconoscibili al nostro pubblico, e gli interni delle case diventano ricettacolo di santini, statuette e centrini.
È con questi elementi che prende forma una storia spiccatamente noir, connotata da forti componenti chiaroscurali e accostamenti di tratti azzurri e neri che accentuano l’intrinseco Espressionismo metropolitano che sprizza da ogni vicolo. La tecnica di Igort rende anche le tavole mute tavole pregne di lirismo, parlando in maniera eloquente tanto a un pubblico che quella Napoli la vive e conosce, quanto a un pubblico, e questo spiega il clamoroso successo all’estero, che quella Napoli non l’ha conosciuta nemmeno attraverso l’industria audiovisiva.

Si tratta di quello stesso pubblico che, nei due decenni successivi, è stato pronto ad aprire le braccia, tra gli altri, a due fenomeni che l’universo partenopeo l’hanno raccontato efficacemente partendo dagli stessi presupposti: siamo infatti dalle parti di quella Napoli che Gomorra prima e l’operazione transmediale di Liberato poi hanno sdoganato come un nuovo nido di cultura di frontiera. Presupposti che non possono prescindere dall’elemento preponderante del lessico, con le sue sonorità che con tanta efficacia fondono poetica e ambiente underground; la lezione di Igort però va ben al di là del vezzo campanilistico o della sana ricerca di verosimiglianza, bensì, sporcata da un dialetto da guapperia, la lingua delle bubbles di 5 è il numero perfetto diventa la principale cifra della costruzione di un’epica alternativa, basata sul deforme affresco di una criminalità napoletana alternativa.

Ecco quindi che la distanza dalla solita mitologia tipica dell’epopea criminale si traduce in codici linguistici peculiari, che epurano il racconto da elementi epici colorandolo invece di un’ingenuità e un’ironia rinnovata, e rende la commedia nera di Igort innanzitutto una commedia umana. E se una sparatoria prende il posto di una cenetta romantica, poco cambia.

La maschera di Peppino Lo Cicero, attorniato da tutta una serie di maschere fortemente caratterizzate, arriva a rispondere, come sottolinea Toni Servillo (che darà il volto al protagonista), alla categoria cechoviana dei Bislacchi, o gregari, come amano definirsi i personaggi del libro, caratterizzati da un’intrinseca inadeguatezza nel momento in cui vengono traslati dal loro contesto di origine ad un contesto per loro più alto. Esattamente quello che capiterà al personaggio principale, la cui morte prematura del figlio lo costringerà a tornare alla quotidianità di guappo e a impugnare di nuovo pistola e rivoltella.
Non è quindi difficile trovare in 5 è il numero perfetto un meraviglioso ulteriore tassello al mosaico della mitologia del provincialismo italiano, che aveva fatto la fortuna di tanto teatro e tanto cinema negli anni ‘70 e ‘80 e che adesso deve trovare una via alternativa anche nella narrativa contemporanea. La Napoli di Igort, o almeno quella disegnata sulle sue nostalgiche tavole, lo è; la sfida della sua trasposizione cinematografica sarà eventualmente vinta proprio sul terreno dell’offerta di una frontiera, una periferia e una provincia davvero nuova.

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