#Venezia76 – Fulci for Fake, di Simone Scafidi

In Venezia Classici l’opera dedicata al tentativo di afferrare la figura smisurata di Lucio Fulci. Interviste, analisi, e una cornice narrativa con Nicola Nocella a trainare la visione

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Non è un caso che un’operazione come Fulci for Fake veda la luce ora, a quaranta anni esatti dall’uscita nelle sale di Zombi 2, primo horror tout court del regista romano nonché uno dei titoli prediletti per affrontare il periodo chiave della sua produzione: quello che, come sottolineato nel film da Davide Pulici, va dal 1979 fino al 1982, anno di Lo squartatore di New York. Un periodo fin troppo breve se paragonato all’arco temporale ricoperto dall’intera filmografia di Fulci, ma dal quale emerge con dirompenza uno sguardo capace di racchiudere tutto quanto fatto in passato, prima del progressivo e ineluttabile allontanamento dalla scena produttiva.

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Raccontare Lucio Fulci oggi, per Simone Scafidi, significa innanzitutto fare un passo indietro e mentire: e allora il significato può essere racchiuso già nel folgorante inizio, in cui Nicola Nocella, chiamato a interpretare il ruolo del regista in un film nel film, si strappa via dalla faccia – letteralmente, con un effetto quasi splatter – il make-up e il latex e smette immediatamente di essere Fulci. Nessuno può essere Fulci, forse neppure Fulci stesso: e un biopic sulla sua vita, diretto da un sedicente regista chiamato semplicemente Saigon, non può che essere un falso. Come il libro di Eibon, lo pseudobiblion di …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà. Nocella, che ammette di conoscere a malapena il cinema di Fulci, per prepararsi al ruolo comincia a divorare dvd e a leggere articoli sull’argomento, ma capisce subito che per raggiungere il cuore del personaggio deve mettersi in contatto con le persone che lo hanno amato e conosciuto. Così Fulci for Fake si trasforma in un documentario vero e proprio, con le interviste alle figlie Antonella e Camilla (quest’ultima scomparsa subito dopo la fine delle riprese, e alla cui memoria il film è dedicato), con tanto materiale video rimasto inedito finora, e con le testimonianze dei collaboratori e conoscenti di una vita (dal direttore della fotografia Sergio Salvati al compositore Fabio Frizzi, passando per Enrico Vanzina e Michele Soavi). Un ritratto intimo del Fulci uomo, personaggio tenero e burbero allo stesso tempo, raccontato sottovoce e senza mai scadere nell’apologia fine a se stessa né – soprattutto – nella sopravvalutazione autoriale aprioristica: e quando il discorso si sposta dalla vita ai film, Davide Pulici, tra i principali studiosi italiani del cinema del regista, si assume la responsabilità di sfatare alcuni luoghi comuni critici e di suggerire chiavi di lettura parallele.

Ma alla fine tutti si arrendono all’inevitabile: la figura di Fulci è troppo smisurata per essere racchiusa in un film e, come la sua partecipazione– ipotizzata ma mai realizzatasi – al programma Rischiatutto in veste di esperto di Proust, quello che amiamo davvero è quello in cui vogliamo credere, indipendentemente che sia reale o meno. Come il cielo del finale di L’aldilà nel quale si perde lo sguardo di Pulici, o come quel pugno di terra che scivola via dalle mani di Nicola Nocella: per lo spettatore, il vero Fulci è un segreto nascosto nei suoi film, la sua unica eredità possibile nei nostri confronti. Per chi invece lo ha conosciuto, è un padre e un amico che non c’è più.

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