Gloria Mundi, di Robert Guédiguian

È di un’amarezza senza via di scampo la visione del presente di Guédiguian che sembra aver smarrito i punti di riferimento, al punto da scorgere dappertutto la minaccia di un nemico interno. Concorso

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Marsiglia, come sempre. La città ha ancora la sua bellezza lancinante: la luce mediterranea, il bagno al porto vecchio, le terrazze sul mare. Ma il tempo è scardinato. Una famiglia modesta, tutt’altro che semplice, è alle prese con la vita di ogni giorno. L’affanno dei soldi e del benessere, il lavoro che non c’è o, se c’è, è un massacro. Nasce una nipotina, Gloria, e tutto sembra una promessa. Ma i vecchi sono stanchi mentre i giovani inseguono i loro desideri. L’unità è solo un’illusione, insomma. E a rendersene conto più di tutti è Daniel, che dopo aver vissuto una vita in carcere, si è abituato a separare l’essenziale dal superfluo. Si accontenta di una modesta camera d’albergo, si aggira per la città per ritrovare e respirare i luoghi della sua giovinezza, si adatta con tenerezza al nuovo ruolo, imprevisto, di nonno. E scrive haiku, per fermare per sempre la bellezza effimera di un sentimento. Ma è comunque un estraneo, fuori dall’apparente ordine familiare e sociale. “Quand’ero ragazzo, facevo di tutto per sfuggire a una vita come la vostra. Ora la invidio”. È così che dice a Richard, l’uomo che ha preso il suo posto nel cuore di Sylvie e che ha cresciuto, con amore, Mathilde, la figlia perduta sin da subito. Ma è un’invidia che non può durare a lungo. Daniel resta lì, come il testimone attonito dello sfacelo.

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È di un’amarezza quasi senza via di scampo la visione del presente di Guédiguian, che nello scarto tra le vecchie e le nuove generazioni racconta l’avanzata inesorabile di un egoismo distruttivo, la malattia del nuovo secolo. L’avidità e la prevaricazione, l’incapacità di comprendere le debolezze altrui, la mancanza di solidarietà, i tradimenti reciproci, la ricerca di un piacere che è solo desolazione. Il ritratto dei figli è talmente spietato da risultare unidimensionale e giudicante. Guédiguian sembra essere diventato quello che non è mai stato: un moralista, fustigatore dei costumi. Anche se magari, per provare a darsi un senso, ritrova tracce di questo decadimento anche nei vecchi, nel loro passato disseminato di errori o nello strenuo attaccamento a quel po’ che hanno (Sylvie che rifiuta di partecipare allo sciopero dei suoi colleghi della ditta di pulizie). Ma, insomma, cosa è accaduto, tra un film e l’altro, ai personaggi che racconta e che hanno i volti degli interpreti di sempre? Cosa si è rotto e cosa siamo diventati?

È un’amarezza giustificata dai fatti, probabilmente, ma amplificata dalla disillusione, da un senso di spaesamento rispetto alle dinamiche caotiche dell’oggi, i nuovi conflitti, i fronti dello scontro più trasversali, se non del tutto impazziti. Se Ken Loach ha ancora pochi dubbi su chi siano i nemici, Guédiguian invece no, pare aver smarrito i punti di riferimento, al punto da scorgere dappertutto la minaccia di un nemico interno. Ma fatto sta che entrambi si mostrano sempre più incapaci di dominare il disgusto o la rabbia per il mondo che li circonda. Al punto che l’ultimo film di Loach potrebbe tranquillamente essere uno spin-off di Gloria Mundi, tutto centrato sulle vicende del povero Nico che acquista una macchina per mettersi in proprio come autista di Uber… Per il resto Guédiguian si muove quasi alla cieca, più in orizzontale che in profondità, accenna alle urgenze non per analizzarle, ma per puntare il dito e segnalare: la crisi del lavoro, l’arrivismo cannibale, i conflitti sociali, il razzismo, fino a quella stoccata su Macron così forzata da stonare. Insomma spara a caso. Vede il presente confuso e si ritrova più a suo agio nel passato, nella consapevolezza della storia vissuta, nel ricordo dei sogni e nella dignità delle vecchie battaglie, combattute dalla parte giusta. Una nostalgia che si riflette a meraviglia nelle rughe di Ariane Ascaride (premiata al Festival di Venezia con la Coppa Volpi come migliore attrice) e, soprattutto, di Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan. È quando ci sono loro che il film si apre alla vertigine: Daniel che incontra gli arabi al bar dell’albergo, il dialogo in autobus, quello sulla panchina che guarda il mare. Ecco, avremmo voluto un film intero su quella panchina, con Darroussin e Meylan che parlano. Sarebbe stato magnifico…

 

Titolo originale: id.
Regia: Robert Guédiguian
Interpreti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin
Distribuzione: Parthénos Distribuzione
Durata: 107′
Origine: Francia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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