#Venezia76 – Incontro con Ciro Guerra, Johnny Depp e Mark Rylance per Waiting for the Barbarians
Il regista porta sullo schermo il romanzo Aspettando i barbari dello scrittore premio Nobel J.M. Coetzee, una produzione italiana per un film dalla forte impronta autoriale
Una fortezza nel deserto ai margini più reconditi di un Impero senza nome. Sabbia, alte mura e bastioni. È in un luogo ostile che inizia il romanzo Aspettando i barbari dello scrittore premio Nobel J.M. Coetzee. Qui a turbare la pace dell’isolamento giunge la Terza Divisione, arrivata dalla lontana capitale per affrontare l’imminente minaccia dei barbari.
Ma chi sono i barbari? C’è chi li chiamava Tartari, o chi, inoltrandosi nel cuore dell’Africa ci mostrava la wilderness nella sua forma più oscura e colonialista, ma per Coetzee i barbari sono gli Altri, tutti quelli che stanno aldilà del nostro confine e che per questo vanno temuti. È una paura ancestrale forse, radicata nella nostra fragilità umana. I greci ci hanno insegnato a chiamarla xenofobia e difficilmente ce la riusciamo a scrollare via, così legati a quell’opposizione senza fine tra civiltà e barbarie. Tra noi e loro.
Ciro Guerra porta al cinema Waiting for the Barbarians, in Concorso a #Venezia76, mosso dalla sfida di rileggere questo romanzo che è prima di tutto una potente allegoria del Potere. «Durante il percorso del film l’allegoria è venuta sempre più fuori, la distanza nel tempo e nello spazio si è ridotta sempre più. Ora che abbiamo terminato, la trama si è trasformata in un’evidente e tragica parabola sul mondo contemporaneo». Le stesse modifiche apportate in fase di sceneggiatura – sotto la supervisione di Coetzee – sono funzionali a rendere ancor più bruciante il quadro di un’attualità d’odio e violenza.
Il sapore buzzatiano dell’attesa svanisce. I barbari di Guerra alla fine si mostrano in tutta la loro “pericolosità”. Arrivano, «perché abbiamo bisogno di loro, di qualcuno da temere e da odiare», spiega il regista spalleggiato da Johnny Depp e Mark Rylance, protagonisti del film, rispettivamente nei panni del Colonnello Joll e del Magistrato. In un testo in cui tutto è simbolico, i due personaggi sembrerebbero rappresentare il Male e il Bene, ma Rylence ci avverte: «Io e Johnny siamo due lati della stessa medaglia, siamo entrambi uomini e di conseguenza colpevoli di imperialismo». L’impotenza del Magistrato, su cui qualcuno richiama l’attenzione, risalta davanti alla crudeltà di un uomo spietato come Joll, che ha richiesto a Depp, pur abituato a ruoli da “supercattivo” un grande sforzo emotivo e fisico. Eppure l’attore si dichiara molto orgoglioso di essere nel film e molto grato ai produttori italiani (della Iervolino Entertainment) che l’hanno reso possibile.
E se qualcuno dal pubblico insinua il dubbio che un film con un ritmo così «lento e intenso» non potrebbe trovare il suo spazio nel mercato, Guerra sembra non curarsene: «non penso alla distribuzione quando giro un film. Per me ciò che conta è l’Arte. La narrazione, lo storytelling servono a noi stessi. Abbiamo bisogno di storie per darci risposte sulla strana realtà in cui viviamo».
E naturalmente per aiutarci a capire che, nella maggior parte dei casi, i barbari siamo noi.