#Venezia76 – Wasp Network, di Olivier Assayas

Dopo “Carlos”, un’altra rete esplosiva di missioni segrete e attentati. Un film che cerca la lucidità e la velocità, ma rischia quasi di perdersi nel caos. In concorso

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Édgar Ramírez corre per le strade di L’Avana e sembra subito riemergere dai tempi e dalle galere di Carlos. Proprio come in quell’incredibile viaggio sulle tracce dello Sciacallo, lungo le rotte del terrorismo internazionale tra gli anni ’70 e ’90, qui Assayas ricostruisce un’altra rete di missioni segrete e attentati, spie, infiltrati e doppiogiochisti. Wasp Network è il nome di una cellula di “fuoriusciti” cubani, stabilitisi a Miami e in tutta la Florida, a partire dai primi anni ’90. Solo in apparenza sono scappati dalle privazioni e contraddizioni del regime castrista. In realtà si tratta di uomini perfettamente addestrati: sono piloti d’aereo, militari di professione, hanno studiato relazioni internazionali. René González, Juan Pablo Roque, Manuel Viramontez… il loro scopo è di infiltrarsi tra le organizzazioni di esuli che, dagli Stati Uniti, tramano per rovesciare il governo comunista in madrepatria. Una vera e propria operazione di intelligence che cerca di sventare l’aggressiva strategia di attentati nei luoghi del turismo, per minare le basi già fragili dell’economia pianificata. Attacchi progettati dal padrino degli esuli, Luis Posada Carilles, e finanziati da uno dei più acerrimi nemici di Castro, il milionario Jorge Mas Canosa, presidente della Cuban American National Foundation (CANF). È “storia vera” di intrighi internazionali, raccontati da libro The Last Soldiers of the Cold War di Fernando Morais.

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Il cinema di Assayas è ormai definitivamente espanso in una dimensione geopolitica, naviga su rotte globali, da un capo all’altro del pianeta. E per dipanare la rete delle infinite connessioni, digitali o analogiche che siano, per recuperare il tracciato dei traffici, immateriali o concreti, sembra sempre più cercare una velocità soderberghiana. In uno stacco, da un’America all’altra è uno scherzo, ci vuole un secondo: tra L’Havana, Miami, El Salvador. Ma non è solo una questione di montaggio, di narrazione o di stile. È una caratteristica generale: Assayas ormai gira ovunque lo conducano le sue storie e i suoi interessi. Attraversa gli immaginari, le lingue, i generi, i contesti produttivi. È cinema planetario, transcontinentale, che si muove subito in acque extraterritoriali… Sarà anche per questo che nei suoi film vediamo tanti treni, motoscafi, aerei. Si vive in aeroporto, tra le piste di atterraggio. E si attraversano innumerevoli check in e boarding gate. Fino ad arrivare qui al sommo azzardo della ricostruzione di un conflitto ad alta quota, l’abbattimento di due aerei civili americani da parte dei MiG dell’aviazione cubana, episodio avvenuto nel 1996. Segno di un cedimento spettacolare? No, perché per Assayas la dimensione “ludica” ha sempre avuto un peso determinante: traiettorie di genere, accensioni thriller o action, che proprio in Carlos avevano trovato punte esplosive. Il piacere del cinema.

Semmai, stavolta, si ha l’impressione che Assayas metta da parte la profondità della sua continua riflessione teorica, troppo preso dalle molteplici traiettorie delle vicende che vuole ricomporre. Il suo sguardo resta problematico, attento alla complessità delle prospettive, nonostante accetti di far parlare Castro in una sublime tirata contro l’ossessione del controllo americano. Ma poggia su un crinale scivoloso, in equilibrio instabile tra il piano politico del discorso e l’analisi intima dei personaggi. Assayas pare quasi perdersi nel caos, non riuscire a gestire pienamente tutti i nodi di una vicenda complicatissima. Ed è proprio il ritmo a impazzire, a dispetto della velocità professata. Il film si aggroviglia in uno scompenso coronarico, nella spiegazione delle dinamiche, negli andirivieni tra un tempo e l’altro, tra una sponda e l’altra. Per poi riaccendersi nelle impennate al cardiopalma degli attentati agli hotel dell’Havana. Anche in Carlos c’era questa discontinuità, che addirittura, a un certo punto, rasentava la deriva. Ma era assolutamente coerente con la parabola del personaggio, con l’incoerente percorso di cadute e ascese di questa maledetta rockstar della guerra globale. Qui, Assayas non ha davvero tempo per nulla. E per toccare tutti i nodi della rete, procede per sconnessioni e bug, salti di corrente, sbalzi di tensione. Non è detto che questo sia per forza un male. Magari tutto dipende dal buco nero della Storia. Di sicuro, servirà altro tempo per capire meglio.

 

Titolo originale: id.
Regia: Olivier Assayas
Interpreti: Penélope Cruz, Edgar Ramírez, Gael García Bernal, Ana de Armas, Leonardo Sbaraglia, Wagner Moura
Distribuzione: Netflix
Durata: 123′
Origine: Francia/Brasile/Spagna/Belgio, 2019

La valutazione del film di Olivier Assayas
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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