#Venezia78 – La caja. Incontro con Lorenzo Vigas e i protagonisti

Abbiamo incontrato in esclusiva Lorenzo Vigas, Hatzín Navarrete e Hernán Mendoza, per raccontare La caja, il film con cui Vigas torna a Venezia dopo il Leone d’oro del precedente Ti guardo

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Il principale modello di approccio di Lorenzo Vigas ai film, come conferma lui stesso durante il nostro incontro, è quello di Bresson, che ama molto, soprattutto in riferimento al montaggio, salvo distanziarsene per un uso di attori professionisti. Per La caja la scelta ha richiesto alcuni giorni di scouting, fino a conoscere quelli che sarebbero poi diventati i protagonisti, Hernán Mendoza, per interpretare il padre, e Hatzín Navarrete che interpreta il figlio. Sono proprio gli attori a parlare per primi con i giornalisti. Comincia Navarrete, raccontando del rapporto instaurato tra loro, nella costruzione del personaggio, e con il regista: “io ho appoggiato lui, lui ha appoggiato me, ed il regista aiutava entrambi, era un lavoro su come creare, è stato il frutto di un progetto di squadra.” Mendoza entra più in profondità toccando uno dei punti nevralgici della storia: “noi messicani, e gran parte delle popolazioni dell’America Latina, siamo abituati a crescere senza un padre. I padri sono costretti a lavorare duramente per ottenere un po’ di denaro legalmente, e sia io che Lorenzo stessi abbiamo conosciuto poco i nostri padri, è un tema che conosciamo bene. Non è stato troppo complicato il processo di immedesimazione.” Il conflitto con il padre è una costante del cinema di Vigas sin dagli esordi, e La caja, in concorso a Venezia,  va a completare una trilogia cominciata con il cortometraggio Los elefantes nunca olvidan e proseguita con Ti guardo, e su un argomento così importante è lo stesso regista a fornire una spiegazione: “Penso che idealizzare la figura del padre è pericoloso, quando hai una madre a casa puoi pensare sia buona o cattiva, quando hai a casa un padre puoi pensare sia un cretino, ma non avere una figura paterna presente può essere destabilizzante psicologicamente perché si trasforma in un bisogno inappagato, qualcosa di similare si può dire di Chavez che rappresenta qual padre che in tanti non hanno avuto. Io ho vissuto per 25 anni in Messico, rispetto al Venezuela i problemi sono differenti, ma ci sono tra i due paesi delle similarità.”

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Il processo di creazione del film è stato molto difficile e molto lungo, è stato difficile da produrre, con tante location, è stato molto complicato girare con la neve e nelle industrie, ci è voluto un anno soltanto per trovare la fabbrica adatta, che è una fabbrica vera, come vere sono le persone che ci sono dentro.  “Siamo stati fortunati a trovare una fabbrica in bancarotta, e così abbiamo preso i lavoratori e gli abbiamo detto che avremmo pagato due giorni di lavoro nei quali abbiamo girato.” Una delle tematiche portanti del film sono le disumane condizioni di produzione industriale, ed un esempio decisivo in tal senso sono i ritmi di produzione industriale cinesi, che rappresentano un problema presente in ogni parte del pianeta, in Europa così quanto in America. Dice Vigas “Io prima del film non ho fatto nessuna ricerca, mi piaceva scrivere una storia, conoscevo certo la vicenda delle persone scomparse e la condizione delle fabbriche, ho scritto la sceneggiatura prevalentemente con l’immaginazione.”

L’altra tematica importante è quella della menzogna, legata a filo doppio con il finale dove al ragazzo protagonista tocca prendere una decisione, credere che Mario sia il suo vero padre, o accettare i resti del padre contenuti in una cassa,  con la consapevolezza che Mario sia un bugiardo e lo voglia soltanto manipolare. Vigas: “Io penso noi siamo tutti dei bugiardi, dovunque. Ci sono delle conseguenze devastanti nella verità. Come diceva Dostoevskij, la verità autentica è sempre inverosimile, per renderla più credibile bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna. Io penso che Mario voglia proteggere il ragazzo quando gli insegna a mentire, non penso sia un furfante, ma soltanto parte di un sistema molto più grande di lui. Mentire è naturale, capita anche a me ogni tanto. Soprattutto per i politici è una cosa normalissima, ed orribile perché le loro bugie vengono accettate e tollerate perché arrivano da un’autorità dotata di un’influenza.”

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