#Venezia78 – Qui rido io: incontro con Mario Martone e il cast

Oggi è il giorno di “Qui rido io”, il nuovo lungometraggio diretto da Mario Martone, presentato in concorso a Venezia 78. Il film uscirà nelle sale il prossimo 9 settembre.

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Si alza il sipario in occasione dell’incontro di Qui rido io, il nuovo film di Mario Martone.

La sceneggiatrice Ippolita di Majo, gli attori Toni Servillo, Maria Nazionale e Iaia Forte, lo stesso Martone, sono visibilmente emozionati. D’altronde si parla Eduardo Scarpetta, di Napoli e di cosa rappresenti il teatro per i napoletani.

Ma il ritratto del celebre attore comico e della sua tribù-famiglia è un’opera non (solo) su Napoli e non (solo) sulla commedia dell’arte. È la paternità negata il tema da cui parte Martone:

“Sicuramente è questa la scintilla da cui è partita l’idea del film. Lavorando a Il sindaco del Rione Sanità ho capito quanto fosse importante il tema della paternità negata. Così come lo è in Filomena Marturano, un altro testo di Eduardo de Filippo, che rivela la “temperatura” di questo tema.  Così, con Ippolita di Majo abbiamo pensato che ci fosse un mistero straordinario che si poteva affrontare. Il mistero di questa “famiglia-tribù” straordinaria, con, a capo, un genio del teatro spinto da una fame di rivalsa che lo spinge a scrivere la frase Qui rido io sul muro della sua villa grazie al successo che ottiene. A questa figura quasi primordiale si affianca l’uomo-padre con figli, legittimi e illegittimi tutti diventati attori.”

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Il film indaga sul mistero della tutt’altro che convenzionale famiglia Scarpetta ma, allo stesso tempo, cattura il mistero della Napoli a cavallo tra i due secoli, una città dalla grande forza creativa impregnata di teatro, cinema e arte, Martone ci tiene a sottolinearlo:

“Voglio indicarvi che la prima inquadratura è dei fratelli Lumiere che filmano Napoli a fine Ottocento. Di quello che poteva offrire Napoli all’epoca, Scarpetta divora tutto. Divora Pulcinella, divora il teatro San Carlino nel quale è nato, divora vita e teatro, e questi figli che non avranno mai il suo nome ma ai quali trasmette misteriosamente il seme della creatività. Evidentemente c’è del dolore in questa storia, Eduardo non ha mai voluto parlare di Scarpetta come padre. Nonostante questo, abbiamo voluto affrontare il nostro racconto immaginandolo come una commedia che racchiudesse al suo interno anche dolore, contraddizioni e umanità. Avevamo un personaggio gigantesco che solo Toni avrebbe potuto interpretare così.”

Mentre il regista descrive il suo attore protagonista, Servillo lo osserva attentamente con uno sguardo fraterno, i due si conoscono da molto tempo. L’attore, a Venezia con tre film diversi (oltre Qui rido io, anche È stata la mano di Dio e Ariaferma), appare oggi decisamente emozionato. Fatica a nascondere l’amore per il teatro, per la sua professione e per il rapporto così profondo che entrambi instaurano con la vita.

“Prima Mario ha giustamente usato l’espressione divorato. Ho immaginato Scarpetta come un animale, gli animali predano ma non a caso. Scarpetta con questa brama di vivere delinea i limiti di caccia muovendosi in cerca di prede che sono donne, città, tournée, testi. In uno scambio continuo tra le tende dei salotti e le quinte del palcoscenico. Il film crea un affresco che ci mostra quanta vita c’è nel teatro e quanto teatro nella vita. Io attore ho potuto raccontare un altro attore che fa il suo mestiere celebrando la vita. I debutti coincidono con le nascite, le invidie con l’ammirazione, i successi con gli entusiasmi. Esattamente come in un grande prisma che è il flusso della vita stessa. L’attore si fa carico di rappresentare la vita mettendo a disposizione il proprio corpo. Questo era l’irresistibile vitalismo di Scarpetta che è un interprete che celebra la vita.”

Accanto a Scarpetta e i suoi figli maschi, però, c’è una tutt’altro che trascurabile presenza femminile. Personaggi atipici in una società patriarcale. Lavoratrici, la maggior parte con una grande cultura e in grado di autodeterminarsi. Maria Nazionale descrive con grande orgoglio la tenacia del suo personaggio, Rosa De Filippo:

“Il personaggio di Rosa è tenace e forte. Tiene in asse tutta la famiglia. È grazie a lei che il grande Eduardo Scarpetta comincia la sua carriera. Rosa tiene testa a tutto quello che le capita e riesce a mettere da parte il suo dolore come donna per abbracciare la sua famiglia.”

Il film di Martone è quindi il ritratto di un uomo, o meglio di una famiglia, o meglio di una compagnia teatrale. Casa e teatro, salotto e palcoscenico, camere da letto e quinte. Questi luoghi si mescolano continuamente in un film che usa pochissime riprese in esterno. Sono gli interni a dominare. In questo senso, Martone chiude la conferenza concentrandosi sulla decisione di dipingere Napoli dall’interno:

“Il film è pensato come una commedia, per questo è inscenata in interni, in un continuo scambio tra casa e teatro. Inoltre, a fare la scenografia del film ci sono anche le musiche. Napoli è evocata musicalmente con grande libertà. È la Napoli rievocata attraverso il canto, una città al fondo dolente che fa del teatro maschera per gettarsi nella vita, è una città che sa che cos’è la condizione umana ma che da sempre adotta queste maschere. Niente più del canto era indicato in questo senso…”

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