#Venezia79 – Bardo: Incontro con il regista Alejandro G. Iñárritu e il cast

Il cineasta messicano racconta il suo film, presentato in concorso a #Venezia79 e distribuito da Netflix. Un film “fatto con il cuore e non partendo dalla testa”

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BARDO, FALSA CRÓNICA DE UNAS CUANTAS VERDADES è in concorso di #Venezia79. All’incontro con la stampa intervengono il regista, insieme al compositore Bryce Dessner, il Production designer Eugenio Caballero, il regista Alejandro G. Iñárritu, i protagonisti del film: Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, Iker Sanchez Solano, il co-sceneggiatore Nicolás Giacobone, il produttore Stacy Perskie Kaniss. L’incontro inizia con una domanda molto intima rivolta al regista, da parte di una giornalista: Questo è il tuo primo film in Messico dopo tanti anni di distanza. Il Messico per te rappresenta uno stato d’animo? Iñárritu risponde: È curiosamente un anniversario per me e la mia famiglia: il primo settembre 2001 siamo andati a vivere dal Messico a Los Angeles, negli Stati uniti d’America. Inizialmente fu una grande illusione, con molti piani da attuare, e pensavamo di starci solo un anno, ne sono passati invece 21. E penso che questo evento sia fondamentale per l’origine del film: è una forma di istinto ed è per questo che dico che il Messico non è solo un paese ma uno stato mentale per me e lo penso perché quando, dopo un po’ di tempo, queste storie, questi stati mentali, si trasformano, cominciano a prendere parte di questo girato, dell’interpretazione, dell’assenza. Come uno specchio: questo film per me è la reinterpretazione emozionale della memoria.

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L’intervista prosegue su un altro punto molto importante: nel film vi è un dialogo, tra il protagonista e il padre, incentrato sul successo che ha la capacità di avvelenare. Il regista Iñárritu risponde: Questa frase è una frase di mio padre: ricordo che fu una discussione abbastanza complicata. Per mio padre il successo doveva essere costante e inevitabile, ma andare per punti. Il successo era la tentazione all’orgoglio, alla superbia, che mi intossicava. L’inevitabile perdita del successo che provocava dolore. Il successo è una condanna perché prima o poi si perde, e quando avverrà sarà un tempo difficile. Mio padre mi diceva sempre: è complicato far comprendere realmente cosa sta dietro al successo. Sul tuo nome gira tantissima aspettativa, soprattutto della gente, è una grossa responsabilità. Per me il successo è stato fare un cammino da apprendista. Non è sempre stato tutto limpido, ma è stato importante. BARDO è il racconto di un viaggio tra quelle due illusioni dai confini indecifrabili. Il tempo e lo spazio si intrecciano, e la narrazione che costituisce ‘la nostra vita’ non è molto più di un falso miraggio, composto da fatti percepiti in modo soggettivo dal nostro imperfetto sistema nervoso. La memoria non è veritiera, possiede soltanto convinzioni derivate dalle emozioni. È quindi la verità dell’emozione che io voglio ricercare, nell’enorme baule pieno di chimere che mi porto dietro.

Le domande continuano con l’indagare la costruzione del racconto, alter ego, in qualche modo, del regista Iñárritu, che risponde: Questa pellicola non l’ho creata con la testa, l’ho creata con tutto il mio cuore. E a partire da questo, la nascita è stata molto sensibile ma anche liberatorio. È un viaggio emozionale: la memoria non tiene verità, è uno stato emozionale. Con molti inserti d’ombre evidentemente con molto coraggio, per poter esplorare cosa c’è dentro questo sentito, che è complicato da condividere. Stai condividendo il tuo cuore. Prende la parola uno dei protagonisti, Gimenez Cacho: Questo è un lavoro molto differente da quello che io avevo pensato: non era una cosa razionale, non vi era la costruzione del disegno del personaggio, dell’arco drammatico. È stata una relazione di estrema confidenza perché noi non sapevamo dove effettivamente ci avrebbe condotto la via, noi stavamo disponendo la strada per i nostri passi, dove poteva succedere la qualunque. Io ne sono rimasto rapito: devi permettere solamente che succeda: il caso viene deciso dall’essere umano. È stato magico lavorare con lui. Ogni giorno ci confrontavamo sul lavoro svolto e se il lavoro non avesse convinto entrambi, non si sarebbe andato avanti.

Le ultime domande vertono sul rapporto con Netflix, la concezione della Storia e la composizione della musica. Iñárritu risponde: Il cinema è un sogno. Il sogno non ha tempo, le frontiere sono indecifrabili. Sono molto grato a Netflix perché mi ha dato un appoggio e una libertà assoluta, anche troppa, ora questa pellicola che sta girando il Messico, è portata in una grande quantità di sale. È un regalo pieno di gratitudine, affinché tutte le persone, senza distinzione di provenienza, possano vivere l’esperienza cinematografica. tutta la mia vita, la mia generazione, teniamo cinema di arte, di grandi autori: erano autori che giravano grazie ai blockbuster, però quando io studiavo cinema la fiera della mostra cinematografica non era così: Fellini, Buñuel. Noi conoscevamo questi autori grazie alla televisione. La tecnologia che possediamo adesso è impressionante, perché possiamo avere accesso a qualsiasi pellicola in ogni momento. E questo è un valore che ai miei tempi non esisteva. Prosegue: Ogni paese ha una propria storia però è filtrata tramite i nostri sistemi di valori, religione, il luogo dove viviamo. Quando racconti un fatto realmente accaduto devi avere sempre un po’ di distanza, per la prospettiva, per essere più onesto possibile. Cercare sempre la verità. La pellicola parla dell’acqua, degli elementi che sono in costante trasformazione. Quando si insegna la storia, quale si racconta? Chi la racconta? Non deve essere scontato. Si è narratori imparziali? Le versioni poi non combaciano. Allora chi ha ragione? Non si può sapere tutto, ma bisogna essere veritieri.

Il rapporto con gli attori e la composizione della musica.
Iñárritu: A me, come prima cosa, importa far comprendere al pubblico come vivevano e lavoravano i personaggi del film. Risponde l’attore Caballero: è stato naturale in scena. Potevano far esplodere la nostra personalità senza timore, alle volte in una forma molto intima. Io personalmente, cercavo, per interpretare il personaggio che mi era stato consegnato, mi affidavo ai miei parenti. Comprendere le loro emozioni. Risponde l’attrice Ximena Lamadrid: tra noi attori ci doveva essere massima confidenza per essere veri davanti la telecamera. Prende la parola l’attrice Griselda Siciliani: dovevamo creare una vera famiglia. Doveva crearsi un vero vincolo familiare. Dovevamo cercare il tono del personaggio.
Iñárritu: sono stati importati i dettagli. I movimenti di camera dovevano essere come un balletto, non c’era nulla improvvisato. Era tutto studiato nei minimi dettagli. Un controllo assoluto, rigoroso, quasi assoluto. La musica è stata creata prima, per far comprendere agli attori il tono con cui dovevano interpretare le battute. Pellicola strutturata con una grande precisione. Tu come cineasta è come se stessi componendo una sinfonia. Non importa quanto sia sempre diversa. Lo strumento deve avere il tono, il virtuosismo adatto, altrimenti la sinfonia muore. E per me, aver lavorato con Daniel (il compositore), e con tutti loro come attori, è stato come lavorare con i migliori strumentisti per poter creare quest’opera con precisione e profondità. Il cinema è lo strumento più potente per sognare. Per me la realtà è un limbo, bisogna re-interpretarla la realtà. Il cinema è la certezza all’interno del dubbio.

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