"Viaggio a Kandahar" di Mohsen Makhmalbaf

Con "Viaggio a Kandahar", si ha l’impressione che quel sublime cinema iraniano che abbiamo imparato ad amare grazie ad autori come Kiarostami, ma anche come lo stesso Makhalbaf, abbia qui raggiunto una sorta di ripiegamento su se stesso.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

All’interno di una traiettoria reale, frazionata da angoli visuali emananti un sentore “vivo” e quindi reale, si consuma il nuovo spostamento del cinema di Makhmalbaf, un (falso) movimento che in realtà preclude ogni possibile lettura attraverso il testo visivo e quindi il sorpasso della facile visibilità di certi schemi codificati e di certe strutture metalinguistiche. Il viaggio del titolo allude a quello intrapreso dalla giovane protagonista afghana, che torna nella terra che le ha dato i natali per dissuadere la sorella da certi propositi suicidi che le ha confidato in una drammatica lettera. Un viaggio quindi, ma ancora meglio forse uno slittamento di un piano della visione (quello aderente ad una ricostruzione fedele della situazione attuale in Afghanistan) su di un terreno minato in partenza dalla volontà di racchiudere ogni proposta semantica e quindi segnica all’interno di una visibilità totale, sezionata da scavalcamenti impercettibili di porzioni di spazio derivanti da una discutibile riconfigurazione/ricostruzione degli elementi in gioco. Si ha l’impressione infatti (ed è un’impressione confermata da una sorta di fatale spaesamento percettivo di fronte a quella falsa evidenza di un testo in bilico fra documento e ricostruzione drammatica di una certa situazione) che quel sublime cinema iraniano che abbiamo imparato ad amare grazie ad autori come Kiarostami, ma anche come lo stesso Makhalbaf, abbia qui raggiunto una sorta di ripiegamento su se stesso, colpevole di esser giunto ad una saturazione precoce di certi slanci espressivi, di certe slabbrature sublimi che in altre opere aprivano delle vere e proprie crepe fuori/dentro la visione(il finale di “Close Up”, l’andatura ad intermittenza di “Le vent nous emporterà”, l’eterno ritorno del gioco con il cinema all’interno del “costruirsi cinema” in “Salam Cinema” dello stesso Makhmalbaf), qui ricomposte in materiale dall’apparenza volutamente composta, equilibrata, fredda. Nel bilanciamento strutturale dell’opera manca la vera passione, l’emozione del ritrovarsi nel grande spettacolo della vita sorprendendosi ancora per ciò che può accadere, commuovendosi per le tante coincidenze/casualità che viaggiano su tangenti di sguardi, di occhiate mai neutre, di atti inconsci, ma al tempo stesso preziosi produttori di senso. Il progetto di restaurazione di un certo vissuto, sia pur sotto forma di quel passaggio transeunte che è il viaggio/trasformazione, assume quindi così i connotati di una distante cronaca in perenne bilico tra l’oggettività del dato (l’aberrante dominio talebano, la condizione inumana della donna, l’asperità di un paesaggio desertico che è poi scena dell’anima) e la sua rielaborazione in materia finzionale, portandoci ad una costrizione del vedere ( un vedere tutto senza ellissi, senza pause, senza la minima esitazione nell’esser soggetti di uno sguardo imposto) che annichilisce ogni tipo di rapporto libero e in un certo senso diretto con le immagini che ci scorrono davanti. L’impotenza di uno sguardo fallito in partenza diventa così il nostro scacco, rispondente ai deliri di un’ontologia dei sensi negata come tale, anche quando il quadro prospettico in cui siamo immersi è sovraffollato di ragioni umane, di carni mutilate e di corpi in stato di dis-equilibrio permanente tra l’andare, traiettoria orizzontale di fuga, di allontanamento, ed il tornare, cerchio spezzato dall’irruzione in campo del ritrovarsi come non si era.Titolo originale:
Regia: Mohsen Makhmalbaf
Sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf
Fotografia: Ebraham Ghafouri
Montaggio: Mohsen Makhmalbaf
Musica: Mohamad Reza Darvishi
Suono: Berhouz Shahamat, Faroukh Fadai
Interpreti: Sadou Teymouri (Khak), Niloufar Pazira (Nafas), Hassan Tantai (Tabib Sahid), Hayatalah Hakimi
Produzione: Makhmalbaf Film House (Iran)/Bac Films e Studio Canal+ (Francia)
Distribuzione: Bim
Durata: 90'
Origine: Iran, 2001

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array