VIAGGIO IN ITALIA – Francesco Dongiovanni. Portare rispetto al tempo

Trentasette anni e quattro lavori in filmografia, tutti molto rigorosi e sicuri, tutti da ascrivere alla forma del documentario di taglio antropologico. Un’identità di filmmaker molto precisa.

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L’ascolto e la sensazione placida del portare rispetto al tempo: Francesco Dongiovanni è un filmmaker che ha un rapporto del tutto particolare con la condizione contemplativa del filmare gli spazi. Senti lo studio che c’è dietro ogni inquadratura, la considerazione accurata non solo della propria relazione con l’ambiente e la sua storia più intima, ma anche e forse soprattutto del pensiero che ogni scelta di campo produrrà immancabilmente nello spettatore. Trentasette anni e quattro lavori in filmografia, tutti molto rigorosi e sicuri, tutti da ascrivere alla forma del documentario di taglio latamente antropologico: Francesco Dongiovanni sta elaborando un’identità di filmmaker molto precisa, dove la serietà della ricerca di luoghi, storie, paesaggi umani e geografici su cui si basano le sue opere, si coniuga con una sensibilità dello sguardo che traduce il suo innato rispetto per il tempo degli esistenti in una lenta passione, sensibile al languore di una nostalgia che, per quanto venga da lontano, è ancora solo un presentimento.

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Anapeson Il titolo del suo primo lavoro (donazione del Ferretti dei C.S.I.) dice già molto di ciò che sarà il suo percorso: Densamente spopolata è la felicità (2011, 47′) abita infatti la transumanza resistente di un anziano pastore della murgia appulo-lucana e si offre come considerazione valorosa di un errare fuori dal tempo, condizione che del resto può essere assunta a traccia portante del lavoro del regista sino al recentissimo Anapeson (2015, 37′, ancora inedito). È infatti proprio nel cercare una via di accesso all’interstizio che unisce e fatalmente separa il passato e il presente, che elegie dall'inizio del mondo uomini e alberiFrancesco Dongiovanni trova il senso del suo filmare: i suoi lavori partono da una suggestione che proviene da lontano e si produce nel presente, e si concretizzano attorno al rapporto di fiducia che l’autore stesso instaura tra i segni arcaici che individua o percepisce e l’astratta verità del qui ed ora in cui sono calati. L’approccio filmico è contemplativo ma vigile, niente affatto molle, semmai si sente una certa durezza del rigore, una disposizione morale del filmare che a tratti si vorrebbe magari un po’ più empatica e meno puntuale. Una pulsione, quella di Francesco Dongiovanni, che, giusto per intendersi, sembra scaturire da una sorta di commistione teorica tra Straub e Wiseman, dove la collocazione nello spazio si traduce in una disposizione nel tempo, in bilico tra la misurazione dell’esserci e l’ascolto del non esserci…

Giano E così Elegie dall’Inizio del Mondo – Uomini e Alberi (2013, 40) prende i materiali in Super8 girati sul finire dei ’60 e l’inizio dei ’70 da Domenico Notarangelo, dirigente comunista dell’entroterra lucano e corrispondente per l’Unità, e lo ricolloca in vista di un rapporto paritetico tra l’arcaismo e la modernità, affidando a quelle immagini la cronaca muta e intrusiva dei riti popolari legati alla Pentecoste (cerimonie propiziatorie di piazza, tra alberi innestati e culto della fertilità) e recuperando una disposizione all’ascolto che si traduce nel classico rito di passaggio tra l’osservare, il guardare e il mostrare. Invece Giano (2014, 50′) si lascia andare a una conversione del tempo in percorso circolare attorno alla ricerca della durata della memoria nel presente: la vita come cicli definisce le storie e la Storia, partendo dalle immagini di famiglia di un Super8 battesimale, transitando attraverso le vecchie foto di un archivio, soffermandosi nel marmoreo silenzio di un cimitero, tra antichi e lapidari ritratti, finendo nell’illanguidirsi di un tramonto che appartiene all’oggi… Francesco Dongiovanni distingue come fondativo il dissenso tra l’esserci del filmare e il trascorrere del vivere, consegnandosi alla discreta disposizione all’ascolto del silenzio che perlopiù vivifica la lucidità del suo filmare: “Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo. Non si sazia l’occhio di guardare né l’orecchio è mai sazio di udire”, dice col Qoélet in esergo di GIano.

Anapeson 2Il suo cinema è uno stato di sospensione tra condizioni opposte dell’esserci, la vigilanza e la distrazione, la veglia e il sonno, l’interstizio tra il passato e il presente che si traduce nella posa del Cristo Anapeson (insonne) dell’icona greca, reclino e vigile, dormiente e sveglio, cui probabilmente si ispira il titolo del suo nuovo lavoro… Qui, sulle tracce del conte svizzero Carl Ulysses von Salis-Marschlins, naturalista e viaggiatore svizzero di fine ‘700, Francesco Dongiovanni si spinge nell’entroterra pugliese e ritrova le immagini e i luoghi di un tempo che è sforzo contemplativo sulla trasparenza del presente: gli ambienti disabitati, il rigoglioso persistere della natura, la luce che taglia le pianure, la penombra che illumina i muri scrostati delle stanze disabitate di una vecchia masseria, le piantine dei luoghi custodite nelle biblioteche, il testo del viaggiatore che richiama il tempo… E quel che resta nelle orecchie è l’ascolto del silenzio cui si concede Dongiovanni, la musicalità del dialogo tra fronde, vento, uccelli, che impone come traccia fondamentale del suo ennesimo saggio in ascolto del tempo. Mentre il rigore prospettico si sofferma su paesaggi di taglio, rivelati da lente panoramiche, impressi un dettagli che non lasciano scampo alla loro verità fuori dal tempo. Un cinema solido e perpetuo, il suo, dal quale ci si attende sicuramente un ulteriore avvenire.

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