Vice – L’uomo nell’ombra, di Adam McKay

College humor versione kolossal? Forse, ma di quello più fertile d’America, insegna come riaffilare il nostro pensiero per cambiare di segno all’espansione irrefrenabile dei flussi del presente

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Obiettivamente, il risultato definitivo del cinema di Adam McKay è quella clip di youtube (che abbiamo proposto qui) in cui un dibattito preelettorale Trump/Hillary viene remixato con dialoghi tratti da Anchorman 2. Se il remix e il mash up sono oramai due formule imprescindibili del linguaggio contemporaneo non solo user generated (non lo sono in fondo anche due titoli come Ready Player One – pensate al “livello-Shining” – e Into the spider-verse?), McKay da tempo ne riporta la radice agli intenti eversivi alla base della comicità più destrutturata di esperienze come il Saturday Night Live, di cui il regista è stato autore dal 1995 al 2001.
Ecco, la lingua parlata da un film come Vice appartiene con grande probabilità molto di più a luoghi come youtube o il furioso zapping abrasivo degli sketch dal vivo della tv americana più nonsense (o di certa animazione seriale non corretta), che al grande schermo del cinema, la cui orizzontalità potrebbe paradossalmente andarle troppo stretta: in quest’ottica, chiude per McKay un percorso portato avanti con i due Anchorman e forse anche con alcune vertigini produttive tipo Candidato a sorpresa.

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Applicare un simile meccanismo di frammentazione formale e narrativa al racconto della scalata all’ombra del potere orchestrata da Dick Cheney significa sabotare il canone-biopic operando sul racconto “politico” quello stesso gioco esponenziale di depistaggi, deviazioni, riscritture e fake news con cui Cheney e il suo team hanno tenuto in piedi l’epoca-Bush e relativi abissi sia bellici che “interni” (più Natural Born Killers o Nixon che W, insomma, se vogliamo per forza tirare in ballo Stone).
Allora, Vice si rivela davvero come il testo definitivo della post-comedy, intendendo con questo proprio quella commedia che sta concentrandosi in questi tempi nel tentativo spesso disperato di ribattere alle derive grottesche del reale riprendendosi il diritto, conquistato nei decenni, di luogo deputato all’esagerazione e alla reinvenzione fantasiosa, pratiche oramai esondate del tutto nella post-verità del dibattito elettorale perenne.

Qual è la versione ufficiale e quale quella redacted? Ecco, con armi perciò non lontanissime da quelle di un’opera che va dimostrandosi sempre più centrale come Fahrenheit 11/9 di Moore, McKay dà qui sfogo alla propria ossessione per l’accumulo di stili e trovate per riazzerare puntualmente apparato e immaginario dopo ogni sequenza per non farla mai somigliare a quella precedente. Un esercizio estenuante di auto-remix che

replica alla folle infografica performativa de La grande scommessa portando all’ebollizione la tendenza di quel film alla vertigine del dato e del numero, con un sovraccarico stavolta davvero magnificamente sfiancante di informazioni, rivelazioni, raddoppi e disinneschi parodistici.
Un’epica al contrario al cui confronto Big Short sembra quasi fin troppo “classico”, Vice è in grado di passare dai finti titoli di coda a un terzo della visione a 10 minuti di dialogo con i versi del teatro elisabettiano, dalla gag del cameriere che fornisce le prossime leggi reazionarie nel menu alla fantomatica sequenza musical poi tagliata dal montaggio finale (pare su consiglio di Paul Thomas Anderson).

Si tratta di college humor in versione kolossal? Forse, ma di quello più prezioso e fertile d’America, che da un lato può insegnarci come riaffilare il nostro pensiero per cambiare di segno all’espansione irrefrenabile dei flussi del presente, e dall’altro a scardinare l’aggiornamento continuo della prospettiva storica ai tempi dell’informazione guidata dagli algoritmi, dove solo l’agire coscientemente irrazionale può riuscire a scombinare del tutto la capacità divinatoria della piattaforma.
Un’operazione lucidamente impossibile da definire, così come ne restano inafferrabili i criteri estetici in una pura prospettiva cinematografica qui sistematicamente frustrata, a partire dal lavoro sulle maschere attoriali dei grandi interpreti chiamati a partecipare alla sciarada.
Con Sam Rockwell e Steve Carell con ogni evidenza del tutto dentro la burla, e Christian Bale e Amy Adams scientificamente intralciati da make up e gabbie strutturali a qualunque possibilità di svolazzo da attore di razza (con crudeltà quasi ridleyscottiana).

Se è vero che viviamo in un’epoca sognata dalla dispersione al vento del Welles postumo, Vice è allora un film profondamente wellesiano, anche per questa sua abitudine reiterata a far smarrire le proprie tracce, ad autocancellarsi e riscriversi in loop. L’unico remake possibile oggi di Rapporto Confidenziale, con Dick Cheney come un Mr Arkadin prosciugato da qualsiasi goccia di fascinazione residua.

Titolo originale: Vice
Regia: Adam McKay
Interpreti: Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell, Sam Rockwell, Jesse Plemons, Shea Whigham, Alison Pill, Lily Rabe, Eddie Marsan, Tyler Perry, Justin Kirk, Bill Camp, Fay Masterson, Lisa Gay Hamilton
Distribuzione: Eagle Pictures/Leone Film Group
Durata: 132′
Origine: USA, 2018

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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