VIDEOCLIP – Manetti Bros: l'identità nella contaminazione

Sarebbe stato facile prendere di peso tecniche e stili lontani per trapiantarli brutalmente nei nostri circuiti. E' proprio questo l'errore in cui i Nostri non sono mai caduti: rinunciare a personalizzare ciò che è patrimonio globale

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I Manetti Bros. sono registi di lungometraggi, produttori di corti distribuiti attraverso la rete ma soprattutto videomaker. Perché è probabilmente grazie a questa parte della loro attività se il nome dei due artisti romani ha iniziato a girare insistentemente in ambienti non strettamente di nicchia. Un successo che parte con tutta probabilità assieme all'exploit di Alex Britti di Mi Piaci alla fine del cui clip compariva malandrino un bollino nell'angolo a destra dello schermo che "taggava" il lavoro con il loro nome. Poco hanno a che fare in effetti i Manetti con la musica di Alex Britti, molto di più invece con la pratica del "tag" che viene direttamente dalla cultura hip-hop. E' dalla dialettica sviluppata lavorando con artisti di questo genere che l'immaginario caleidoscopico e "cartoonistico" del duo ha preso vita. Assalti Frontali ma soprattutto i video di Piotta che nel bene e nel male hanno colpito come un maglio il pigro panorama del clip italiano. Merito della carismatica comparsata di Valerio Mastandrea in Supercafone ma soprattutto della capacità dei Bros. di fare riferimento ad una serie di sorgenti eterogenee e con cui non tutti possono avere una uguale dimestichezza. Da una parte il linguaggio dei comics americani (Piotta – La Grande Onda) e dei videogames e contemporaneamente dall'altra il film "di genere" tipicamente italiano. Che si tratti di "poliziotteschi" o di "splatter" alla Dario Argento è proprio questo il segreto del successo del duo: contaminare un linguaggio tipicamente italiano (l'estetica lounge anni '60, il cinema anni '70) con un virus internazionale (in buona parte statunitense) come è quello contratto dal linguaggio dell'hip-hop. Sarebbe facile (ed è ormai pratica diffusa nel nostro paese) prendere di peso tecniche e stili lontani per trapiantarli brutalmente nei nostri circuiti atteggiamento che però finisce con l'assomigliare più ad un brutale trapianto di organi che ad un riuscito crossover culturale. E' proprio questo l'errore in cui i Nostri non sono mai caduti: rinunciare a personalizzare ciò che è patrimonio globale. Anche a costo di sembrare provinciali e/o eccessivamente trash i Manetti continuano la loro opera di "volgarizzazione" di quello che altrove definirebbero "coolness". Pensiamo all'ultimo clip che accompagna il tormentone dei Flaminio Maphia Ragazza Acidella dove l'invasiva "romanità" del brano si mescola a paesaggi che potremmo definire "glocal". Il non-luogo McDonalds come la discoteca pariolina, la strada di borgata e tutto quel corollario di status symbol hip-hop (macchine lussuose e donne "facili") che viene sbeffeggiato senza mezzi termini. Rispetto all'ennesimo lavoro di un regista come Hype Williams (solitamente al servizio di P. Diddy, R. Kelly, etc…) Marco e Antonio ne stravolgono gli eccessi in maniera copernicana rovesciando addosso ai protagonisti lo squallore di ciò che normalmente è considerato prestigio. Un procedimento tanto coraggioso (non sarebbe più semplice mettere in scena le solite coreografie fatte di minigonne e tacchi a spillo?) quanto rischioso visto che a volte la povertà di mezzi formali risulta fin troppo castrante nell'impresa di scherzare su una povertà di tipo "morale". Centra probabilmente l'obiettivo Strade dei Tiromancino in cui una semplice telecamera digitale riprende Federico Zampaglione e Riccardo Sinigallia cantare comodamente seduti sul divano di casa azzerando di botto ogni possibile effetto scenico (improvvisamente superfluo) e convertendo la penuria produttiva in una scelta di campo ben precisa.

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