Da anni la serata di proiezioni di cortometraggi di registi pugliesi al Festival è uno degli eventi più seguiti dal pubblico presente a Lecce: c'è qualcosa di più, oltre a curiosità e campanilismo. C'è che questi giovani autori hanno capito come portare la Puglia al cinema, la loro Terra al cinema e il cinema sulla loro Terra. Oltre al 'sangue vivo'
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Da anni, la serata di proiezioni di cortometraggi di registi pugliesi che qui al Festival chiamano Puglia Show è uno degli eventi più seguiti dal pubblico presente a Lecce: la sala stracolma e straripante sino all'inverosimile, applausi scroscianti e calorosi sui titoli di coda di ogni corto, facce serene, divertite, e sorridenti, a rassegna finita – c'è qualcosa di più, oltre al campanilismo del vedere e amare in una manciata di minuti un'opera a firma di un autore conterraneo. C'è che i giovani registi che hanno realizzato questi lavori hanno capito come portare la Puglia al cinema, la loro Terra al cinema, e il cinema sulla loro Terra: oltre al 'sangue vivo', a Edoardo Winspeare, oltre ad Alessandro Piva – da queste parti si guarda soprattutto al cinema di Sergio Rubini, a come il regista de L'anima gemella, L'amore ritorna e La terra abbia saputo cogliere l'essenza arcana, esoterica e magica di questi posti arsi dal sole di secoli antichi in cui il Ragno trasmetteva pungendo la sua Possessione – c'è la magia (Il miracolo…), come avevano intuito Ernesto De Martino e i suoi seguaci con la macchina da presa come Luigi Di Gianni, dietro ai filari di ulivi, ai tamburelli, e alle tarantate – è questo, forse, che manca al cinema elegante e 'corretto' di Edoardo Winspeare : pochi ulivi, poca gente che balla la pizzica, per fortuna, nei cortometraggi visti quest'anno a Puglia Show; ma l'incontro oramai familiare con gli appunti che autori 'puntuali' come Gianluca Camerino e Corrado Punzi continuano a trascrivere per immagini usando lo strumento del corto: il primo continua nel suo cinema 'di poesia' ("Fate fogli di poesia, poeti!", intimava qualche anno fa), nell'evocativo Compianto tratto da un poema di Maurizio Nocera e sceneggiato insieme al padre Vincenzo Camerino, critico cinematografico, figura imprescindibile del Festival; il secondo gira con Ai capitani di stato, ai capitani di qualcosa, co-firmato da Erica La Venuta, forse la sua opera più bella, ricca di trovate, di inventiva, di forza civile. Il più vicino a Rubini (e a Shohei Imamura…?) è invece probabilmente Giovanni De Blasi, che realizza con Quasisìa, opera ispirata alla leggenda popolare del folletto 'scazzamurieddhu', un evocativo cortometraggio ambientato nel surreale paesaggio di una purpurea cava di bauxite allagata. Siamo del tutto favorevoli a quest'utilizzo 'straniato' e 'straniante' dell'ambientazione pugliese, questa sua trasfigurazione in pura 'immagine-cinema': ben venga allora il fantasy medievale con echi addirittura pasoliniani girato da queste parti, I custodi – L'inganno di Giuseppe Tandoi; ben venga l'horror de Il vampiro, di Armando De Vincentis – si è disposti anche a plaudire allo split screen warholiano con montaggio ultraclippato dell'affascinante La mia famiglia è magica e immensa: Storia di Erika e Omar, di Dario Iurilli. Soprattutto perchè tutti questi sguardi non perdono, neanche per un attimo, la 'consapevolezza del mezzo', delle sue potenzialità da sfruttare, in pochi minuti, con tutto il budget a disposizione: come nel finale di Ad arte, di Anna Ferruzzo, in cui il professore non-vedente Massimo Wertmuller che s'è finto 'non-cieco' commentando per gli avventori le opere al Museo d'arte Moderna di Napoli come se le vedesse, camminando dritto davanti a sé investe in pieno la mdp, poi guarda in camera e se ne scusa. Anche ad occhi aperti, non riesco a vedere niente.
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