VIII OTRANTO FILM FUND FESTIVAL – Raccontare le realtà

Si è concluso il festival salentino, con un variegato parterre di premi, che tracciano le coordinate di un mondo diviso fra l’esperienza sedimentata nel tempo e le prospettive per il domani

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Fra cambi di location e improvvise sortite della pioggia, l’ottava edizione dell’Otranto Film Fund Festival ha dimostrato, per forza e per azzardo, la natura “divisa” del cinema a cavallo fra culture e mondi, costretto a reinventarsi per tenere il passo di una realtà definita ma allo stesso tempo sfaccettata, dove il rimosso rimane sedimentato e traccia le prospettive del presente (come potrebbe d’altronde sintetizzare la stessa cattedrale cittadina con i teschi dei suoi martiri, ricordate l’incipit di Nostra Signora dei turchi di Carmelo Bene?).

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Il parterre dei premi si è così spalmato su scelte eterogenee, divise fra le motivazioni delle tre giurie (quella ufficiale, della critica e degli studenti di Unisalento): la prima, presieduta da Stefania Rocca, ha scelto le prospettive amorose di Sole Alto, di Dalibor Matanic, vincitore dell’Adriatic Ionian Movie. Un premio per molti aspetti perfetto per sintetizzare l’anima molteplice di un luogo e una manifestazione che diventa cartina di tornasole e punto di vista privilegiato sull’incontro-scontro di realtà e sul rapporto con l’esperienza del tempo passato, presente e futuro. Tre storie per raccontare un amore che finisce, uno che non nascerà mai e uno rimosso e poi di nuovo inseguito, negli anni della tremenda guerra dei balcani, dove l’erotismo, il gioco dei corpi, degli sguardi, del sentirsi a distanza cerca di tracciare nuove vie sensoriali rispetto alla dicotomia etnica posta in essere dal conflitto. Percorsi impossibili, spesso infranti dall’insormontabile rancore sedimentato dalla violenza in cui è stata immersa la terra. Un film che quindi è resoconto storico, ma anche monito per i tempi che verranno – come ricorda la motivazione, per cui “È proprio quel cuore umano l’unico responsabile del bene o del male dell’amore o dell’odio, della compassione o della crudeltà e mai come in questo momento storico dobbiamo farne tesoro”.

solealtoofffLa giuria critica ha invece designato l’albanese Krom, di Bujar Alimani, altro racconto di comunicazioni difficili in un nucleo familiare con madre muta, padre assente e sostituto dalla figura vicaria di un cugino adulto, e figlio in cerca del suo posto del mondo, fra scuola e il lavoro in nero in miniera, che spesso si accompagna a una giovane (e pure ribelle) insegnante di matematica. Al di là della semplicità del plot, Alimani imbastisce un racconto rigoroso di traiettorie emotive che si stemperano in un paesaggio ritratto nella vastità del formato panoramico, dove la macchina da presa ora si allontana e ora si avvicina ai personaggi, ritagliandone i conflitti morali in uno scenario epico capace di tracciare la distanza fra l’essenzialità dei singoli gesti e la forza propulsiva dei desideri e dei sentimenti repressi nell’intimo. Esemplare il rigore di alcuni tagli d’inquadratura che rimandano all’astrattezza lirica di Behemoth, di Zhao Liang. Anche qui, le motivazioni della giuria colgono bene il complesso insieme di sentimenti brulicanti nell’opera, sottolineando come il film trasformi “un clima di sospensione e di distanza familiare in un’allegoria lucida, visivamente rigorosa sulle dinamiche sociali, culturali e generazionali dell’Albania contemporanea”.

Il premio Unisalento degli studenti dell’Università di Lecce, è invece andato al greco SMAC, di Elias Demetriou, altro racconto di incontri, in questo caso fra una dirigente bancaria affetta da tumore e un uomo ridotto sulla strada dalla crisi economica: un film che alterna un tono generale di levità quasi “francese” alla durezza più incisiva tipica del cinema greco contemporaneo, viziato però da un eccessivo accumulo di spunti nella seconda parte (malattia, crisi economica, magia africana, omosessualità, rapporto perduto con i figli, tossicodipendenza). Troppa carne al fuoco, ma non per la giuria, che loda il “congegno narrativo capace di rovesciare più volte gli schemi” e “il raffinato progetto drammaturgico”.

A corollario dei singoli titoli si pone poi il Premio Speciale delle Giurie, con un titolo che ha evidentemente messo d’accordo le tre realtà chiamate a giudicare il programma, assegnato a Non essere cattivo di Claudio Caligari, altro film che continua a raccogliere i frutti di quanto così ben seminato, ponendosi come testo da riscoprire in continuazione e capace di parlare dal passato al presente, amato “Per lo slancio tragico tradotto in un’esemplare parabola sull’amicizia, l’amore e il valore ultimo del fare e sentire profondamente il cinema”.

shoesDa segnalare anche il premio assegnato al contest “Un mare di corti” e andato al bel cortometraggio animato Shoes, di Domingo Bombini (in co-regia con Leonardo Gregorio), realizzato insieme agli studenti della scuola media Dante Alighieri di Casamassima, con l’aiuto della giornalista Michela Ventrella, nell’ambito del progetto per la Legalità della Regione Puglia, affidato alla cooperativa sociale “I bambini di Truffaut”, presieduta da Giancarlo Visitilli. Un film che in cinque minuti racconta la parabola di due immigrati africani, il somalo Abdulle Nagayee e l’eritreo Mussiè Hitsa, diventati due talenti dell’atletica leggera grazie agli incentivi ricevuti da due agenti di polizia (Francesco Leone e Francesco Martino) che hanno creduto nelle loro potenzialità. Shoes è un racconto poetico che trasfigura il dramma degli sbarchi e la fuga dalle difficoltà della madrepatria in un percorso verso la realizzazione dei propri sogni, fatto con cartoncini colorati che danno forma a un caleidoscopio emotivo capace allo stesso tempo di stemperare il dramma in una prospettiva immaginifica e di ribadire l’urgenza di pensare un mondo altro dove la debolezza possa trasformarsi in forza. Anche in questo si vede l’urgenza di fare e sentire profondamente il cinema.

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