Vitalina Varela, di Pedro Costa
Pardo d’oro a #Locarno72 (miglior film e migliore interpretazione femminile), la sublime elegia funebre con cui Pedro Costa celebra la tragedia dell’immigrazione come perdita totale del sé
Ritorno al passato. Sin dai tempi di No Quarto da Vanda (2000) Pedro Costa ha messo in moto un rigoroso processo di ricerca anti-spettacolare che tende a fare emergere il trascendente dalle immagini. La messa in scena minimale, spesso avvolta dall’oscurità è un tentativo di riprodurre gli ambienti della comunità capoverdiana nei sobborghi di Lisbona. In Cavalo Dinheiro (2014) il protagonista era Ventura con Vitalina Varela in un ruolo di contorno; in quest’ultima opera invece diventa centrale la storia di Vitalina che dopo 25 anni arriva in Portogallo per la morte del marito Joaquim, mentre Ventura ha la parte secondaria di un prete ubriacone che ha perso la fede. Vitalina Varela sviluppa ancora una volta il drammatico tema dell’emigrazione capoverdiana togliendo dall’oblio e dall’invisibilità una vicenda personale simbolo di un destino collettivo.
In un recente aggiornamento di un suo saggio (Rethinking Transcendental Style, 2018 ) Paul Schrader ha individuato i canoni dello slow-cinema (lunghi piano sequenza meditativi, assenza di colonna sonora, pochi dialoghi, utilizzo di attori non professionisti, montaggio non convenzionale) ed ha inserito Pedro Costa nella corrente “The Survellaince Camera” ossia in quel tipo di estetica che tende a scavalcare la narrazione e a preferire la ripresa diretta della quotidianità per fare emergere sotto-testi spesso invisibili (in questo gruppo ci sono anche Lav Diaz, Bela Tarr, Tsai-Ming Liang ).
Vitalina Varela inizia con una lunga sequenza immersa nel buio in cui a malapena riusciamo a distinguere un Quarto Stato immigrato che fatica e arranca, ombra della propria ombra.
Gli occhi dello spettatore si devono adattare alla scarsa luminosità e immaginare forme e movimenti all’interno dell’inquadratura: a volte ciò che si crede un personaggio è una immagine allo specchio. Il cinema di Pedro Costa più che ai suoi contemporanei guarda alla lezione di Manoel De Oliveira e di Straub e Huillet: sono precisi i rimandi alla fotografia, alla pittura (qui viene in mente Rembrandt), alla scultura. E’ il tempo a scolpire l’inquadratura.
Al dolore sordo di Vitalina che osserva il tugurio dove viveva il marito, fa da specchio la disillusione del prete Ventura che si ritrova in una chiesa vuota, senza possibilità di dire messa, malfermo sulle gambe e con la mano tremante, esclamando le parole “è veleno!”.
Infatti attorno si muove una umanità agonizzante avvelenata nel corpo e nello spirito in cui i ricordi non sono fonte di sollievo ma aprono solo nuove ferite: davanti alle foto illuminate dalle candele Vitalina ricorda il giovane Joaquim a Capo Verde vitale, attivo, innamorato e con grandi speranze per il futuro.
Lo ritrova nei racconti di Ventura e dell’amico Antonio alienato, alcolizzato in mezzo al proprio vomito, con la dimora che cade a pezzi e con un’altra donna che lo ha prosciugato economicamente.
Pedro Costa oltre alle lunghe inquadrature fisse dei monologhi si sofferma su alcuni particolari simbolici: una croce azzurra disegnata su un palo di legno marcio, i piedi martoriati di Vitalina, gli uccelli in gabbia, le innumerevoli scale e i tunnel nei quali scorre l’acqua fognaria. Anche il reparto acustico è curatissimo: il rombo del motore dell’aereo che porta Vitalina a Lisbona, l’abbaiare dei cani, le voci all’interno delle abitazioni tra grida e lamenti, il soffiare del vento e lo scroscio della pioggia durante l’ennesima tempesta che mette a dura prova la stabilità della casa di Joaquim.
Ma in tutto questo quadro post apocalittico è proprio la rabbia e la vendetta di Vitalina a dare inizio a un percorso di ricostruzione dalle proprie rovine: anche se del sentimento con Joaquim non è rimasto più nulla, la donna ribadisce ad Antonio l’importanza dell’amore per continuare a credere.
Premiato all’ultimo Festival di Locarno con il Pardo d’oro come miglior film e come migliore interpretazione femminile, Vitalina Varela è una sublime elegia funebre che celebra la tragedia dell’immigrazione come perdita totale del sé e delle proprie radici. Di fronte a un Quarto Stato che va letteralmente scomparendo nella totale invisibilità, il cinema di Pedro Costa è quel raggio di luce che toglie questi uomini e queste donne dall’oblio.
Regia: Pedro Costa
Interpreti: Vitalina Varela, Ventura, Manuel Tavares Almeida, Francesco Brito
Distribuzione: Zomia
Durata: 124′
Origine: Portogallo, 2019
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani