Vivere, di Akira Kurosawa
Tra la poesia musicale di Mizoguchi e l’analisi dei rapporti familiari di Ozu, una delle vette di tutto il cinema del maestro giapponese. Da oggi in sala in versione restaurata.

La morte come metronomo della vita. Ogni istante non deve essere sprecato. Vivere di Akira Kurosawa è una di quelle opere che hanno il potere magico di spostare lo spettatore verso un atteggiamento costruttivo partendo proprio dalla fase terminale di un’esistenza anonima. Senza retorica, ma con la lucida consapevolezza della fonte letteraria che ha ispirato il film, ovvero il racconto La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj.
Kanji Watanabe (Takashi Shimura, per tutto il film ingobbito e a capo chino) è un dirigente del comune con trent’anni di carriera alle spalle che scopre di avere un tumore allo stomaco. La prima immagine del film è una radiografia con il piloro devastato dalla massa neoplastica.
In questa parte introduttiva, aiutato dalla splendida fotografia di Asakazu Nakai, Kurosawa è abilissimo nel generare un contrasto acuto tra la consapevolezza di Watanabe di avere al massimo sei mesi di vita e un mondo circostante che procede indifferente e cinico, con le sue luci e i suoi schiamazzi, negando il concetto di malattia e morte. I medici gli dicono che ha un’ulcera mentendogli sulla vera diagnosi, al lavoro la dipendente Toyo (Miki Odagiri) ride per una barzelletta sugli impiegati, il figlio Mitsuo (Nobuo Kaneko) e la nuora cercano di carpirgli la pensione per cambiare casa.
Kurosawa colpisce con fotogrammi laceranti: il primo piano di un uomo consapevole di essere stato per troppo tempo immobile imprigionato da montagne di carte, l’immagine delle calze sfilacciate di Toyo, un ombrello che non ripara dalla pioggia, un’ altalena che dondola vuota. Watanabe cerca di recuperare il tempo perduto tuffandosi nei piaceri della vita notturna ma improvvisamente canta con tono sommesso in un locale la canzone giapponese Gondola no Uta (La canzone della gondola) raggelando l’ambiente e zittendo i presenti. Le luci dei locali notturni contrastano con la sua ombra evanescente che si trascina per le strade con passo claudicante. Si avvicina a Toyo suscitando pettegolezzi: ma più che l’istinto sessuale è il desiderio di rivivere una giovinezza perduta quello che muove l’anziano malato. Watanabe, ripensando al suo passato in veloci flashback, si accorge di non avere mai vissuto; di avere svolto un lavoro senza cambiare la lentezza pachidermica della macchina statale burocratica. Nulla è rimasto impresso della sua vita. Watanabe ha un momento di lucidità: approfitterà del tempo che gli rimane per trasformare una zona paludosa della periferia in un parco giochi per bambini. Chi dice che Kurosawa è il più occidentale dei registi giapponesi dovrebbe guardare con attenzione Vivere. Prendete la poesia musicale di Mizoguchi e mescolatela all’analisi dei rapporti familiari di Ozu in una società in grande trasformazione come quella giapponese degli anni 50.
A questo aggiungete la capacità di Kurosawa di stravolgere la tecnica narrativa facendo partire a circa un terzo di film un lungo flash-forward inframezzato da rapidi flash-back. Un geniale andare avanti e indietro nel tempo che dipinge perfettamente l’impatto dell’azione di un singolo uomo su una comunità sociale. Grazie a questo espediente tecnico lo spettatore viene a conoscenza del sacrificio personale di Watanabe e delle ipocrite reazioni del sindaco e dei capi degli altri uffici comunali che tentano di appropriarsi del merito del progetto.
Pur avendo ottenuto solo un premio speciale al Festival di Berlino, Vivere di Kurosawa è tra i migliori capolavori del cinema mondiale: un uomo si dondola sull’altalena e finalmente sorride vedendo i bambini tornare a giocare. Di fuori tutto è immutato. La burocrazia riprende a macinare progetti e buoni propositi perdendo tempo. La nostra esistenza è davvero breve. Eppure guardando la morte di Watanabe non siamo mai stati tanto attaccati alla vita.
Gondola no Uta (La Canzone della Gondola)
“La vita è così breve,
affréttati ad amare
finché le tue labbra sono ancora rosse,
prima che tu non possa amare più:
perché non ci sarà un domani.
La vita è così breve, affréttati ad amare
finché i tuoi capelli sono ancora neri,
prima che il tuo cuore si fermi:
perché questi giorni non torneranno più.”
Titolo originale: Ikiru/生きる
Regia: Akira Kurosawa
Interpreti: Takashi Shimura, Shinichi Himori, Haruo Tanaka, Minoru Chiaki, Miki Odagiri, Nobuo Kaneko, Bozuden Hidari, Atsushi Watanabe
Distribuzione: Cineteca di Bologna
Durata: 143′
Origine: Giappone, 1952