"Voglia e Desiderio sono alla base di ogni decisione". Intervista con Philippe Lioret


Ecco un'intervista esclusiva con il cineasta, al suo secondo film consecutivo con lo strepitoso Vincent Lindon: "questo film parla di determinazione, di impegno, di amore… ". GALLERIA FOTOGRAFICA

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Come è nato Tutti i nostri desideri? 

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Quando ho letto il romanzo di Emmanuel Carrère, "Vite che non sono la mia", sono rimasto impressionato e sconvolto: mi ha fatto percepire con grande intensità delle emozioni che appartengono alla sfera intima. Poiché conosco Emmanuel, gli ho telefonato per dirgli a che punto il suo libro mi avesse toccato e abbiamo valutato l'ipotesi di adattarlo per il cinema, giungendo entrambi alla conclusione che era impossibile. Innanzitutto, perché la riuscita del romanzo dipende più dai commenti e dagli aforismi dell'autore che dalla storia in sé e un film, malgrado esprima un punto di vista, si fonda sulla descrizione di una storia, di una serie di fatti e necessita di una drammaturgia. E soprattutto, perché il romanzo di Emmanuel è autobiografico e i personaggi che lo animano sono persone reali e molto vicine a lui, quindi era escluso che venissero interpretate da attori. Così abbiamo convenuto di lasciar perdere. Con il passare del tempo, ho dimenticato il romanzo, ma la sua tematica mi tornava sempre in mente. Qualche mese dopo, mentre ero in Brasile per la promozione diWelcome, mi è venuta l'idea della trasposizione: cambiare i personaggi, inventarne di nuovi e conservare del romanzo solo lo spirito che avevo tanto amato e alcune parole chiave: due giudici (un uomo e una donna, molto diversi tra loro), il sovraindebitamento e il sentimento d'urgenza dovuto alla malattia aggressiva che colpisce uno dei due, anche se già questa è una trasposizione del libro. Non un adattamento, ma una libera ispirazione. E nel giro di pochi giorni, la storia che volevo raccontare si è tessuta da sola: l'incontro tra i due magistrati, la loro «inchiesta» per salvare Céline e contrastare gli abusi delle società di credito, e il rapporto intimo che si stabilisce tra loro di fronte alla brutalità della scadenza che affligge Claire, la loro singolarissima storia d'amore. Ho chiamato Emmanuel Carrère per parlargliene e mi ha dato il suo consenso per operare questo «tradimento». Poi, con Emmanuel Courcol, il mio complice di scrittura, ho scritto la sceneggiatura in sei mesi, senza più riaprire il libro. 

Cosa le è piaciuto di questo progetto? 

…Forse la possibilità di esplorare quei momenti di confusione in cui ogni cosa si scontra, in cui le persone si scoprono. Cosa siamo disposti a fare e fino a dove siamo pronti ad arrivare quando si verifica una situazione estrema imprevista? Poste in una condizione particolare, le persone cambiano le loro priorità, tessono legami che non avrebbero mai immaginato e, spesso, superano se stesse. 

Di quali «desideri» parla, in sostanza? 

Un giorno ho letto su un volantino che offriva una forma di credito al consumo un invito cinico: «Cedete a tutti i vostri desideri». Naturalmente il riferimento era a tutte le tentazioni che il denaro permette di soddisfare, ma nel caso di Stéphane e Claire mi interessava il doppio senso del termine "desiderio". Mi piacciono molto le parole «voglia» e «desiderio», sono alla base di ogni decisione. Ognuno di noi è capace di qualunque cosa a causa della forza che contengono e qualche volta arrivano persino a ridefinire le nostre vite.

Il film denuncia anche gli abusi del credito a consumo… 

Immagino così il giorno in cui è stato inventato. Una riunione di un gruppo di banchieri, preoccupati dalla prospettiva della stagnazione dei loro profitti a causa della severa regolamentazione del credito e dalla mancanza di guadagno che avrebbero subito. A un bel momento, in fondo al tavolo, uno di loro esclama: «Ma per gli importi piccoli il credito non è disciplinato! Potremmo creare delle filiali che propongano alla gente prestiti di somme contenute in più rate… a tassi elevati, ovviamente.» E tutti gli altri lo guardano in silenzio, con un sorrisino sulle labbra. Oggi, le allettanti offerte delle società di credito al consumo buttate nelle casette della posta o pubblicizzate su Internet spingono migliaia di persone con redditi modesti nella trappola dei soldi facili. Spesso tentati dalla follia consumistica che stuzzica tutti noi e sedotti da queste offerte dubbie, i più vulnerabili si trovano presto schiacciati nell'ingranaggio dell'insolvenza e del sovraindebitamento. Bisogna dire che la percentuale degli insolventi non supera il 3% (che, tuttavia, equivale, solo in Francia, a quasi 8 milioni di persone) e che è ampiamente compensata dai tassi d'interesse proibitivi che le società di credito applicano a chi sottoscrive un prestito. Eppure, queste società non possono permettersi di lasciare impuniti gli insolventi, per evitare di incitare altri a fare la stessa cosa. Quindi per gli insolventi, che sono prevalentemente dei disoccupati, l'azione legale è persa in partenza e si ritrovano in situazioni spaventose, a meno che un giudice di pace osi interporsi e trovi una scappatoia per bloccare questa legge del più forte e inceppare questo meccanismo perverso di arricchimento delle banche. Nel romanzo di Emmanuel Carrère mi è piaciuta anche questa lotta. 

Come definirebbe il rapporto tra Claire e Stéphane? È amore? 

Il rapporto intimo che si crea tra loro non viene trattato spesso. Eppure fa parte del nostro quotidiano, degli incontri, spesso professionali, che siamo portati a fare. Fondato sulla complicità, tra un uomo e una donna spesso sfocia in una strana forma di amore-amicizia. Tra Claire e Stéphane, questo rapporto si sviluppa con spontaneità parallelamente alla loro vita e a priori non mette in pericolo i rispettivi legami personali. È evidente che Claire ama Christophe (Yannick Rénier) e i suoi figli, la sua famiglia è davvero l'amore della sua vita. Ma l'incontro con Stéphane è un'altra cosa. Entrambi scoprono due modi diversi di amare, ciascuno unico e molto salutare. Il loro rapporto è fatto di complicità professionale, di una forma d'amore, in cui la figura paterna non è molto distante, e anche di desiderio. È una storia sulla pluralità dell'amore. Malgrado non ci sia ambiguità nel loro rapporto, lo sguardo degli altri lo percepisce come equivoco. E probabilmente anche gli spettatori, che vivranno questo incontro specchiandolo nella loro vita e nei loro quesiti, lo vedranno ambiguo.

Cosa ci può dire della forma del film? 

Amo il cinema, in un film mi piace raccontare una storia e avere voglia di crederci. Per questo motivo, per me il racconto deve essere di un realismo assoluto e non si deve vedere l'aspetto della finzione. E per di più, la costruzione del racconto deve essere talmente coinvolgente da consentire lo svolgimento drammaturgico e tenere lo spettatore con il fiato sospeso. E questo è il ruolo della sceneggiatura. Sul set, la mia unica preoccupazione è, ancora una volta, che non si veda la costruzione del film, che «non si sentano i dialoghi», che non si percepiscano i movimenti della macchina da presa o la presenza della scenografia, né ovviamente la recitazione degli attori… L'essenziale è «esserci», condividere le sensazioni, consentire che prevalgano. È anche per questo che mi è molto difficile parlare dei miei film, spiegare i «come» e i «perché». Si finisce presto con il «dire delle frasi fatte», mentre io sono molto attento ad evitarle quando faccio un film.

È il suo secondo film con Vincent Lindon. 

Le riprese di Welcome sono state un momento molto importante con lui, come non ne avevo mai vissuti con altri attori. Vincent si fa coinvolgere fino in fondo, ha una grande capacità di ascolto e, per di più, è molto istintivo e affabile. Tra noi si è creata subito un'intesa, in particolare sui dettagli che componevano il suo personaggio. Eravamo entrambi intuitivamente proiettati verso il medesimo risultato. Grazie a questa intimità tra noi, ho potuto andare molto più lontano del solito e insieme abbiamo costruito un rapporto sano e una solida amicizia. Amo il suo carisma e il suo lato animale davanti alla macchina da presa. Quindi è stato naturale, alla fine delle riprese di Welcome, siglare un tacito patto: fare un altro film insieme.

E Marie Gillain? 

Non ho cercato un'attrice, ho cercato Claire. Ho incontrato un numero impressionante di attrici che avrebbero potuto incarnarla e alcune sono state molto convincenti, ma inciampavo sempre nella loro incapacità di cogliere fino in fondo la natura profonda del personaggio. Poiché non avevo preso in considerazione Marie, lei si è battuta per venire a fare una lettura, durante la quale ho sentito in lei una determinazione che mi è piaciuta moltissimo. Ma per interpretare Claire aveva anche bisogno di «lasciarsi andare». Quindi è tornata per un provino e in quell'occasione, dandole la battuta, ho sentito che dietro al suo impegno, affioravano la fragilità e la grazia che stavo cercando. Claire era lei. Marie non è soltanto un'attrice straordinaria: è anche una bellissima persona, piena di pudore e di malizia. Dà un enorme contributo al film ed è una persona a cui oggi mi sento molto vicino.

Quello che succede a Claire è terribile. Ha davanti a sé una scadenza… 

Scopre che le restano solo pochi mesi di vita e si appresta ad annunciarlo ai suoi cari, ma di fronte alla loro fragilità, per proteggerli, finisce con il tacere la sua malattia e decide di risolvere nell'urgenza i due problemi che ha davanti a sé e che si intrecciano: aiutare Céline a uscire dall'indebitamento eccessivo e progettare la vita della sua famiglia dopo la sua morte. Mi colpisce profondamente.

Scopriamo anche due giovani attori: Yannick Rénier e Amandine Dewasmes. 

Avevo già lavorato con Yannick in Welcome. È tornato per fare un provino, uno di quei provini che faccio io sistematicamente non per giudicare se un attore è bravo o meno, ma per vedere se corrisponde al personaggio, e non ho avuto alcun dubbio: Christophe era lui. Mi piace molto la sua finezza. Non ha pregiudizi, è un uomo per bene, come Christophe. Per Amandine, è stata Tatiana Vialle (responsabile del casting) a presentarmela. Ha fatto dei provini e anche nel suo caso la scelta si è imposta. È giustissima e anche molto intensa. Credo che farà una splendida carriera. Inoltre, per questo film mi ero ripromesso di lavorare solo con persone, attori e tecnici, con cui sarei potuto andare in vacanza. Ed è stato così con tutti.

Dopo Je vais bien, ne t’en fais pas e Welcome, come si inserisce Tutti i nostri desideri nella sua filmografia? 

È la prima volta che produco interamente uno dei miei film, quindi è stato un po' diverso. Ma, grazie al costante sostegno dei miei complici, Marielle Duigou, la mia produtrice esecutiva, Stéphane Célérier di Mars Films, Christophe Rossignon di Nord-Ouest, e anche di Canal Plus, France 3 Cinéma e Rhône Alpes Cinéma, non l'ho sentito come un peso ulteriore: ho solo avuto l'impressione di timonare la barca con maggior precisione. Al di là di questo, non saprei… In fondo è un seguito logico. Tutti i nostri desideri parla di determinazione, di impegno, di amore… Scopro che nei miei film è presente in filigrana una stessa tematica: la forza di un incontro che ci aiuta a superare noi stessi. Questo film mostra degli individui che si uniscono contro l'assurdità del mondo e che, nell'urgenza, fanno muovere le cose. È questo che mi interessa. 

 

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