W for Welles – Otello (The Tragedy of Othello: The Moor of Venice)

Otello, nelle mani di Welles, diventa cinema delle passioni, si trasforma in un nuovo linguaggio che serve per l’elaborata complessità espressiva

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Otello è un film con il quale Welles sembra avere portato a compimento il suo personale percorso scespiriano, che in verità si sarebbe completato con il composito Falstaff più di dieci anni dopo. Resta un’opera assoluta, indispensabile per misurare la grandezza del cinema di Welles. La sua elaborata costruzione, che ripete la forza espressiva della tragedia scespiriana, testimonia il lavoro di invenzione che si esprime certamente nella scrittura, ma che mostra tutta la sua grandezza nella forma in cui si manifesta, nella cura estrema dell’inquadratura, nel lavoro di montaggio che raccorda i tempi e i luoghi e il laborioso lavoro del set, durato almeno un paio d’anni, a causa delle solite difficoltà produttive che ogni progetto wellesiano incontrava.
Il lugubre e conclusivo incipit ci rimanda ad un’epoca di passioni mortali. La bellezza visiva delle silhouette degli uomini che portano le bare, stagliate nella loro cupa essenza, nel cielo terso di una Venezia inesistente, sembra attingere ad un immaginario collettivo rielaborato attraverso un’opera sapiente di montaggio, ma soprattutto con un dosaggio delle fonti di luce che conferisce magnetismo visivo all’intera sequenza. Il cielo veneziano, dentro il quale si muovono quelle ombre, rimane di unica forza e inimitabile bellezza espressiva. Le immagini traducono lo sgomento della tragedia che si è consumata e Welles condensa l’angoscia della fine dei suoi personaggi in pochi tratti, su uno sfondo musicale che accompagna il corteo funebre. Jago è imprigionato in una gabbia sospesa e guarda gli effetti del male che è riuscito ad architettare.

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3Otello, nelle mani di Welles, diventa cinema delle passioni, si trasforma in un nuovo linguaggio che serve per l’elaborata complessità espressiva. Una complessità che ridefinisce i termini della visione e della rappresentazione della letteratura, perfino di quella del grande drammaturgo inglese. Con Welles la tragedia diventa immagine insostituibile dell’animo umano e, a sua volta, ogni emozione, si trasforma in labirinto della visione nella multidirezionalità dello sguardo. Il cinema di Welles è il solo in grado di riconoscere a pieno la genialità e la profondità scespiriana. Da qui la leggerezza della sua traduzione cinematografica. Quella scrittura e quel cinema aderiscono perfettamente e nella perfetta consonanza scopriamo quanto grande sia la misura del secondo e quanto sia distante dalla nostra consuetudine.
Per Welles il cinema era anche la costruzione di uno spazio unico, di un immenso set senza misura e senza proporzioni, un ininterrotto scenario di bellezza e di necessità visionaria che sembra essere l’unica modalità espressiva, quasi onnicomprensiva, per la traduzione di queste opere che diventano i grandi scenari dell’anima. Uno spazio scenico ricchissimo di dettagli narrativi, sempre perfettamente sezionato dall’uso della luce che esalta la perfetta razionalità dentro cui si muovono i personaggi. Uno spazio che però non ha confini e che si moltiplica come quasi in una superfetazione. Resta famosa la sua frase: Jago esce dal portico della chiesa di Torcello…per entrare in una cisterna portoghese, Ha attraversato e cambiato continente nel bel mezzo di una frase. In Otello succede continuamente. Una scala toscana si prolunga in un terrapieno marocchino per costituire uno spazio unico. Roderigo colpisce Cassio a Mazagan e Cassio restituisce il colpo ad Orvieto, a mille miglia di distanza.

6Sono i termini di questo cinema che si espande senza costrizione, che ritrova nel bianco e nero pittorico del chiaroscuro wellesiano quell’unica possibile soluzione ad ogni tema che riguardi ii cinema e la sua messa in scena. Otello sembra giungere ad un punto non più superabile di un’arte che pur esprimendosi attraverso tutte le altre, si ricompone, in un corpo unico ritrovando la segreta alchimia del suo profondo significato espressivo e della sua unica condizione esistenziale.
Il cinema di Welles ispirato alle tragedie scespiriane, sicuramente l’Otello, ma anche il precedente Macbeth, se pure non riscrivono l’opera del drammaturgo inglese, ne colgono il senso più profondo, attraverso un’operazione di complicatissima essenza che solo la polisemica natura delle immagini sembra potere restituire. La genialità di Welles risiede tutta in questo superbo lavoro che costituisce l’archetipo di una visione tragica. Quella stessa alla quale Shakespeare, ne siamo certi, avrebbe – se avesse potuto – praticato. Un impianto drammatico che solo il cinema può mostrare: l’immagine delle ombre che conferisce corpo fisico personaggi e alle loro passioni. È l’opera espressiva e visionaria di Welles, che riempie i vuoti dei suoi chiaroscuri con una originaria forza delle immagini sempre perfettamente aderente con i segreti desideri dello spettatore. Le uniche capaci di dare vita alla parola e alle passioni che si agitano nelle storie di quei personaggi.
Da questo si comprende come quella elaborazione visionaria della tragedia non sia più sostituibile.

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