W for WELLES – Well(e)s, a che ora è la fine del mondo… reale?

Dal 1937 al 1938, due anni cruciali, due anni per stabilire a che ora è la fine del mondo… “Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, ma al contrario, sono finito a Hollywood”

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Dal 1937 al 1938, due anni cruciali, due anni per stabilire a che ora è la fine del mondo… la compagnia Mercury Theatre debutta mettendo in scena Giulio Cesare, ambientato nell’Italia fascista e l’anno dopo si approda al mito della guerra dei mondi. Orson Welles, dapprima è Bruto e in fondo Well(e)s: “Oh, virtù! Tu non eri altro che un nome vano ma io sciagurato ti ho adorato davvero, come se fossi vera; ma ora, sembra che tu non sia mai stata altro che una vile schiava della sorte”. È forse il testamento più vicino alla realtà dei fatti, l’inciso più terribilmente veritiero, più ferocemente avanguardista. “Non sarà sembrato che dicessi che il teatro è finito, vero? Ci sono dei grandi artisti che continuano a lavorarci, ma non è più collegato alla centrale elettrica principale. Il teatro resiste come un divino anacronismo; come l’opera lirica e il balletto classico. Un’arte che è rappresentazione più che creazione, una fonte di gioia e di meraviglia, ma non una cosa del presente”. La vita onirica di Orson Welles è l’esempio compiuto di monodramma, basata sul punto di vista di un solo personaggio, tipico dell’espressionismo, che sa però rilanciare, a livello interpretativo, il ruolo dell’inconscio. Si avverte il “purgatorio della sofferenza creatrice”, trasformando il teatro pubblico in teatro per sé. Il teatro (così come il cinema, ovviamente) non deve essere un tempio, una scuola, una tribuna, una cattedra o uno specchio, il teatro, in una eloquente tautologia, deve solo manifestare se stesso.

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Ecco, appunto, Welles è quindi tra le più riuscite tautologie delle espressioni artistiche e creative di tutti i tempi, proprio perché ha creduto fino in fondo al carattere di alterazione vitale esercitato dall’emozione scenica, alle sue possibilità di raggiungere gli strati profondi della psiche umana. Soprattutto credeva nella forza senza limiti dell’illusione teatrale, una forza la cui efficacia vien meno non appena l’organismo umano, abituatosi a un certo tipo di codici rappresentativi, si rende immune dal loro magico (quinto) potere. On air, la spettacolarità del futuro sarà la rivelazione magica di un mistero spirituale e scientifico, un rito mistico del dinamismo spirituale, un centro spirituale per la nuova religione dell’avvenire: di fronte all’esplosione molecolare del primo futurismo, fatta d’energie spasmodiche, di ribollenti frantumi, il congegno well(e)siano è forza depurata, rasserenante apertura sui limbi dell’invisibile.

1030-war-of-the-worlds-1938Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, ma al contrario, sono finito a Hollywood”. Parte un concerto per pianoforte di Ciaikovskij, la sera di domenica 30 ottobre 1938, allo otto in punto, la Cbs trasmette in diretta la Guerra dei Mondi, un radiodramma tratto dal romando di H.G. Wells. Ecco l’introduzione alla storia, con la voce lenta e profonda di Orson Welles: “Noi oggi sappiamo che durante i primi anni di questo secolo creature dotate di menti più vaste di quella dell’uomo, eppure come lui mortali, osservavano attentamente dallo spazio il nostro mondo…”. L’agenzia Crosley calcolò che quella sera 32 milioni di persone stessero ascoltando la radio…Poi la voce anonima di un annunciatore segue a quella di Welles, per leggere un normale bollettino meteorologico e comunicare che i programmi sarebbero proseguiti con un collegamento con la sala da ballo di un ristorante di New York. Seguono alcuni minuti d musica, poi una brusca interruzione: “Signore e signori, interrompiamo questo programma…”. Era il 1938, i giorni della crisi di Monaco, la vigilia della guerra. Alla prima edizione straordinaria del giornale radio, che annuncia l’avvistamento di strani fenomeni sul piante Marte, altri ne seguono, fino all’annuncio che delle misteriose macchine volanti sono atterrate nel New Jersey. La voce di un cronista inviato sul posto irrompe nelle case degli americani: “Mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio, che si contorce come un serpente…la folla indietreggia, porto il microfono con me mentre parlo. Sto cercando un punto di osservazione. Vi prego di restare in ascolto. Riprenderò a trasmettere fra qualche minuto”. Poi interviene il “segretario degli Interni”, con un tono ufficiale e noioso: “Cittadini della nazione americana. Non cercherò di nascondervi la gravità della situazione in cui si trova il paese (…) Riponendo tutta la nostra fede in Dio dobbiamo continuare l’esecuzione dei nostri doveri per opporre all’invasore una nazione unita, coraggiosa e tutta consacrata alla conservazione dell’umana supremazia su questa terra”. Migliaia di famiglie abbandonano le proprie case e si rifugiano nei boschi. Molte caserme della Guardia Nazionale sono prese d’assalto per ottenere dall’esercito maschere antigas. In alcune cittadine del Sud l’intera popolazione si riversa nelle strade a pregare e cantare inni religiosi. Intanto la trasmissione si avvia verso la conclusione: “Vi parlo dal tetto del Broadcasting Building di New York. I marziani si avvicinano. Si ritiene che nelle ultime due ore tre milioni di persone abbiano lasciato la città per le strade dirette a nord…Evitate i ponti per Long Island, sono tremendamente affollati. Tutte le comunicazioni con New York sono state interrotte circa dieci minuti fa. Non esistono più difese. Il nostro esercito è distrutto. Questa può essere l’ultima trasmissione. Rimarremo qua fino alla fine. Le macchine volanti dei marziani stanno atterrando in tutto il paese (…) Tutti corrono verso l’East side. Sono migliaia e cadono come topi. Il fumo ha raggiunto Times Square. È a cento metri da me…a quindici metri…”. Un sospiro, un gemito, il rumore soffocato di un corpo che cade e il rotolare, sul cemento, del microfono: Morte di un cronista, in diretta radiofonica.

Mercury%20Theatre%20bannerLa sacralità del reale è destrutturata. I media sanno mentire e la sospensione dell’incredulità si è cronicizzata. F for Fake ormai ha preso piede definitivamente, finzione e realtà hanno buttato giù il muro di confine. La vertigine della realtà e non la pura realtà è ciò che ci offre Welles. La fine del mondo è visibile on air, full time, dalla finestra sul mondo, spiraglio virtuale nella clausura postmoderna. Già in questo inquieto esordio della coscienza contemporanea, fatta di dispersione e di poca sicurezza nella capacità di sé stessi, con il conseguente odio verso il proprio Io, fanno capolino due aspetti che domineranno la scena narrativa successiva: il vedersi vivere e l’alienazione estrema. Dal romanzo di Wells: “Forse sono un uomo stravagante. Non so fino a che punto ciò che provo sia condiviso da altri. A volte soffro del più strano senso di distacco da me stesso e dal mondo che mi circonda; mi sembra di osservare tutto dall’esterno, da un punto inconcepibilmente remoto, fuori del tempo e dello spazio, fuori della tragica tensione di tutto. Questa sensazione, quella notte, fu molto forte. Era un altro aspetto del mio sogno”. Well(e)s trapassa vedersi vivere (e) l’alienazione estrema. Allucinato e allucinante. E la fine del mondo è tutta qui: “Il mio dottore ha detto di smettere di avere cenette intime per quattro. A meno che non vi siano altre tre persone”.

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